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“È tempo di”, parte II: spunti di riflessione

Che strana cosa il tempo, a volte sembra scorrere lento, altre vola via in un lampo. Quand’è che per te il tempo vola? Ti sei mai chiesto perché? Parlane.

Per me il tempo passa velocemente quando faccio le cose che mi piacciono, infatti quando vado con papà e Rex all’orto e gioco con lui, o mi godo la bellezza della natura, o vado un po’ in bici o aiuto il mio papà arriva subito il momento di tornare a casa. Invece, ora che siamo costretti a rimanere a casa, il tempo sembra non passare mai. Le giornate sembrano non finire ed ogni giorno sembra uguale al giorno precedente. Quello che ci aiuta un po’ sono le videolezioni che stiamo facendo con i professori e le consegne dei compiti. A scuola, tutto era diverso e molto più bello, potevamo guardare negli occhi i prof, capire meglio le cose e divertirci di più, ma almeno comunque li possiamo vedere. È tutto un po’ strano: è strano non poter stare con i miei amici e chiacchierare con loro, anche di cose stupide e sciocche ma che ora sembrano così importanti; è strano non poter vedere i miei nonni; è strano non avere la “scusa” di andare a fare la spesa con la mia mamma. È strano e anche un po’ triste. Anche il tempo fuori sembra essersi fermato: sembra il periodo natalizio; mi affaccio e c’è la neve sulle montagne e fuori piove tanto, è scuro, ma è primavera! Il tempo forse passa più lentamente ora perché abbiamo corse affannate da fare: il tempo scorre velocemente proprio perché tra gli impegni vari si ha meno tempo per pensare. Ma non va bene evitare di pensare. Forse è questo il segreto: imparare a pensare. Pensiamoci, pensateci.

Mirko Colangelo, IIC

  • Quando penso al tempo mi vengono in mente queste espressioni: oggi, domani, ieri, l’anno scorso, l’anno prossimo, presto o tardi. Da qui capisco che il tempo è legato al passato, al presente e al futuro. Ma il tempo è soprattutto presente, è il momento attuale, è adesso. E mi piace che sia così, perché almeno posso in qualche modo agire su di esso, visto che tanto non lo posso fermare. Quello che so per certo, infatti, è che il tempo non si ferma, nessuno può bloccarlo. Se rifletto, però, io ci credo davvero che può essere un po’ controllato! Oggi, infatti, la tecnologia ha permesso ad ognuno di noi di risparmiarne un po’. Mia mamma, per esempio, lavora da casa senza andare in ufficio: non “spreca” più quei minuti che servono per arrivare sul posto di lavoro. Questo dimostra che un semplice collegamento tra computer le ha fatto guadagnare due ore da poter trascorrere a chiacchierare con me. Questo mi piace, mi fa pensare al tempo libero che è quello che mi attrae di più. Lo ritengo il più importante e forse il più utile perché ci permette di scoprire i nostri veri interessi. E capisco anche perché il tempo a volte scorre veramente lento e altre vola. Non passa mai quando mi annoio oppure quando sono triste o agitato o in attesa di una buona notizia. Nei momenti in cui sono felice, in cui sono preso da qualcosa d’interessante, invece, passa velocissimo. Eppure le ore hanno sempre gli stessi minuti, i minuti hanno sempre gli stessi secondi! Questa cosa mi ha sempre incuriosito e non ho mai trovato delle risposte. Ho 12 anni, forse le troverò più avanti. Forse non passa mai nei momenti in cui vivo quello che non voglio. A scuola, per esempio, le ore di alcune materie volano, altre meno, perché alcune le preferisco. In questo momento il mio tempo è stato fermato da un virus assassino che mi sta costringendo a restare chiuso in casa. Devo imparare ad apprezzare anche questo tempo, a controllarlo un po’ di più, come dicevo prima, provando a fare cose nuove, così da trasformare un tempo “fermo” in un tempo che crea e che regala. Perché il tempo non si può sprecare.

Nicolas Cordisco, IIC

Se aprissimo una qualsiasi enciclopedia e cercassimo la parola “tempo”, troveremo una delle solite e banali definizioni: “concetto di grandezza fondamentale che viene utilizzato per stabilire l’ordine di una serie di eventi”. Questo è ciò che direbbe un qualsiasi scienziato, ma in realtà stiamo parlando di qualcosa che è molto di più di una semplice nozione scientifica. Grande sfida è capire ciò che noi usiamo definire con il termine “tempo”. Per la nostra realtà nulla è più misterioso e sfuggente: il tempo ci appare come la forza più grande dell’universo, che ci accompagna dalla culla alla tomba. Sant’ Agostino nelle sue confessioni diceva: “se nessuno me lo chiede, so cos’è il tempo, ma se mi si chiede di spiegarlo non so cosa dire”. Il tempo si muove in una sola direzione e questa è una delle poche risposte che noi uomini siamo riusciti ad ottenere in questo campo. A volte il tempo scorre molto velocemente, proprio quando ne vorremmo di più; altre volte sembra che non passi mai, quando invece vorremmo che scorra velocemente. Ogni secondo è prezioso e dobbiamo imparare ad utilizzarlo al meglio per evitare di sprecare attimi irrecuperabili della nostra vita.

Arianna Gasbarro, II C

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È tempo (di quarantena)

Che strana cosa il tempo, a volte sembra scorrere lento, altre vola via in un lampo. Quand’è che per te il tempo vola? Ti sei mai chiesto perché? Parlane.

Il tempo è un flusso continuo di secondi, minuti e ore, esso non si può fermare. Il mio parere è che il tempo non c’è solo sul nostro pianeta, ma anche nello spazio e in altri universi cosmici. Noi nasciamo e moriamo in un tempo determinato ma il tempo forse non finisce mai. È un flusso, una fonte di infinito perfetto ed è così unico che, se lo osservi dal punto fisico è sempre uguale, ma dal punto di vista dei sentimenti è ben diverso.

Provo a spiegarmi meglio. Il tempo scorre lentamente quando nella mente ci si annoia o si ha paura: analizzando sono tutte esperienze negative. Il tempo passa in fretta, invece, quando non ci pensi, esempio: se stai ascoltando qualcuno che racconta una cosa interessante o se stai giocando con un amico e subito diventano le otto e te ne devi andare, come mai? Il tempo ti fa scherzi o sei tu che non dai attenzione ad esso?

Al giorno d’oggi, con la quarantena che questo assurdo virus ci impone, stiamo ripensando il tempo, stiamo riscoprendo il tempo lento, che non è sempre male: forse prima andavamo troppo di corsa? Dovremmo riflettere, io ancora non lo so. Mi viene in mente che ci sono state persone nella storia che hanno saputo sfruttare il tempo creando, scrivendo, suonando, progettando nuove architetture o nuove invenzioni, come Newton che, durante la sua quarantena volontaria nella Londa del ‘600, elaborò la teoria della relatività , come abbiamo letto a scuola.

Sarebbe bello se anche noi riuscissimo a sfruttare al meglio questo periodo difficile, riscoprendo non solo il dono di ogni giorno che ci è concesso, ma anche la bellezza di sentirsi vicini anche stando lontani.

Federico Curti, IIC

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Hoppeditz e le rose

Il termine “cultura” deriva dal latino “colere”, cioè “coltivare”. Rappresenta quindi anche un insieme di conoscenze e tradizioni di un popolo che vengono tramandate di generazione in generazione. Nella nostra rubrica andremo ad indagare proprio la cultura di Paesi a noi vicini o di Paesi più lontani, scegliendo punti di vista diversi. Perché crediamo che conoscere le diverse culture sia la chiave per capire il mondo di oggi. Le parole oltre le barriere, appunto, come ci ricorda il titolo della nostra rubrica: parliamo di cultura e di parole.

E oggi, non a caso, vi vorremmo parlare di una delle tradizioni che caratterizza profondamente le cultura di moltissimi paesi, il carnevale. Vi aspettavate il Brasile o Venezia? No, dovreste saperlo, non siamo così banali. E dunque andiamo a farci un giro in terra tedesca.

 Prima però ricordiamo che la Germania si trova nel Centro della nostra bella Europa e che la sua capitale è Berlino. Il nome Germania ha origine dai Romani e significa “Paese dei Germani”, mentre il nome Deutschland compare per la prima volta nella forma Dütiskland nella Kaiserkronik (componimento poetico) e vuol dire “Paese tedesco”. La Germania è la nazione più popolosa dell’Europa ed è tra le più ricche. Qui si parla il tedesco, una lingua indoeuropea ma che appartiene al ramo occidentale delle lingue germaniche. Questo vuol dire che è nata grazie all’influenza della tradizione di testi latini in volgare utilizzati per scopo religioso. Pensate un po’! Il latino infatti fu la lingua veicolare dei dotti europei del passato, un po’ come oggi l’inglese è la lingua base per tutti. Ancora oggi si possono facilmente rintracciare prestiti del latino nella lingua tedesca: Pflanze viene da plantam, pianta; oppure Fenster, da fenestra, finestra.  

Ricordiamo infatti che i Germani vennero in conttato con i Romani e da questo incontro-scontro nacquero i regni romano germanici. Vorremmo dirvi altro sulla parte storica, ma dobbiamo approfondire lingua e cultura in questa sede, quindi torniamo al nostro carnevale, il cui nome, secondo l’interpretazione più diffusa e accreditata viene proprio da latino, carnem levare, “eliminare la carne”, in riferimento al banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale prima della Quaresima, periodo di digiuno e ritiro spirituale. In alternativa la parola carnualia, “giochi campagnoli”, ha anch’essa un certo seguito. Di sicuro queste feste hanno origini molto antiche, ci fanno fare un salto indietro fino alle dionisiache greche o ai saturnali romani: in entrambi casi, durante queste feste, ci si lasciava andare alla dissolutezza e allo scherzo, bandendo ogni obbligo sociale spesso facilitati dall’uso di indossare una maschera.

Sulla maschera, reale e simbolica, potremmo dire moltissimo ma in questa sede ricordiamo soltanto che, grazie ai banchetti e alle feste del carnevale, il caos sostituiva momentaneamente l’ordine prestabilito, diventando così un momento di rinnovamento simbolico ma molto potente per tantissime culture, su tutto il pianeta.

Questa festa così affascinante, dunque, e piena di significati, è identificata, all’interno della regione tedesca, per tornare a noi, con nomi diversi e si festeggia anche in modi diversi a seconda della città in cui ci troviamo, infatti a Ovest si chiama “Karneval”, al Centro e al Sud “Fastnacht”, mentre in Baviera e in Austria prende il nome di “Fasching”. Ma in ogni caso le “città del carnevale” rimangono Düsseldrof, Kölin e Mains. Ad esempio, a Düsseldrof succede questo: la città rimane in stand by per tre giorni e poi l’apice della festa viene raggiunto il lunedì (rosenmontag, lunedì delle rose) quando chiudono tutti i negozi, uffici e fabbriche e arrivano tantissimi turisti, di solito un milione. L’atmosfera è bellissima! Verso mezzogiorno inizia un gran corteo con carri e maschere che dura per circa quattro ore. In questo lasso di tempo le persone bevono e si divertono, infatti in questi giorni si consuma molta birra, come succede spesso nelle feste tedesche e nordiche in generale. Il motto di questa festa è “Wo früher meine Leber war, ist heute eine Mini-Bar”, cioè “Dove una volta c’era il mio fegato, oggi c’è un mini-bar”. Il Carnevale di Düsseldorf ogni anno anima e colora la città, in particolare l’Altstadt – la “città vecchia”, ed è una festa imperdibile per i cittadini e per i turisti. Ovunque c’è musica, ovunque fiumi di gente ma i balli in costume sono la parte più bella e la maschera tipica è Hoppeditz, figura che simboleggia la pazzia: l’11 novembre (e cioè l’undicesimo giorno dell’undicesimo mese dell’anno, alle 11,11) la città viene consegnata a Hoppeditz e ai suoi amici mezzi matti, che rendono tutto bellissimo e magico.

Che dirvi, allora? Ovunque voi siate, buon carnevale!

Articolo di Ludovica Bruno e Maria Claudia Pio

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GLI ECOMUSEI

COSA SONO E DOVE LI TROVIAMO

Ecomuseo in Alsazia: particolare di una tipica finestra

Cosa sono gli ecomusei?

Gli ecomusei non sono dei semplici musei: fanno rivivere ai visitatori in prima persona la storia di un territorio, dei popoli che ci vivono o ci hanno vissuto, le tradizioni, i costumi e i prodotti tipici. Come, vi starete chiedendo.
Facendo in modo che il visitatore sia catapultato -letteralmente, perché non è solo spettatore ma attore, interagisce con quello che vede- dentro un territorio e dentro le sue tradizioni, dentro la cultura (per usare un termina ancora più completo) di quel posto. Cultura di un territorio che comprende quindi gli ambienti di vita tradizionali, il patrimonio naturalistico e quello storico-artistico. Attraverso gli ecomusei il patrimonio storico, culturale ed ambientale, quindi, diventa oggetto d’interesse non solo per i turisti ma anche gli abitanti, in fondo, che si impegnano a conservare al meglio e a tutelare quel che possiedono.

Un ecomuseo non ha mura o confini, e questa cosa ci piace tantissimo. Un ecomuseo è un’opportunità, possiamo dire. Un’opportunità di scoprire una zona attraverso mezzi diversi dal solito, come percorsi didattici o di ricerca che coinvolgono anche la popolazione stessa, o le associazioni locali e le istituzioni culturali. L’ecomuseo propone come “collezioni”, come “esposizione”, non solo gli oggetti della vita quotidiana e il “saper fare” della gente, il loro modo di vivere, ma anche le tradizioni e le testimonianze che sono arrivate fino a noi e il paesaggio stesso, che non fa semplicemente da cornice, ma che è invece esso stesso museo. L’obiettivo primario dell’ecomuseo, spesso chiamato anche museo diffuso, è quindi quello di rinforzare l’identità di un luogo in maniera sostenibile, come ci dice la parola stessa: l’ambiente e la sua tutela restano al primissimo posto.

Gran Sasso d’Italia, Abruzzo

Dove troviamo gli Ecomusei in Italia

Il primo ecomuseo nacque in Francia, oggi nel mondo ce ne sono circa 300. Venendo all’Italia, vi segnaliamo quelli che ci hanno colpito di più.  In Piemonte c’è l’Ecomuseo della Resistenza, splendida testimonianze delle lotte dei partigiani tra le valli alpine, attraverso percorsi che il visitatore può realmente fare, attraversando baite, boschi e vari luoghi della memoria.

A Pistoia c’è l’Ecomuseo della Montagna Pistoiese, in cui si evidenzia il rapporto tra acqua e bosco, in cui si vede come la montagna e l’uomo interagiscono magnificamente.

Il territorio del capoluogo della bella Puglia, poi, regala mille sorprese ai turisti: a Cursi troviamo il bellissimo Ecomuseo della pietra leccese, usata da tempi lontanissimi per i più importanti edifici e monumenti dell’architettura leccese, nel design etc. Le cave dismesse diventano laboratori aperti al pubblico per far conoscere la vita di chi un tempo qua lavorava.

E poi l’Abruzzo, con il bellissimo museo diffuso di Santo Stefano di Sessanio, Sextantio, un’oasi di pace e serenità tra tradizioni riscoperte, aria buona e gente meravigliosa. Qui, le stanze dell’albergo diffuso, sparse per il centro storico, sono state arredate utilizzando gli oggetti del patrimonio culturale: “vasi, piatti, tavoli, tutti recuperati e conservati come in un museo della civiltà contadina”.

Articolo di Adelaide Biasella e Lara Pacella, II C

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Peters VS Mercatore: tutte le carte sono sbagliate?

Le reali dimensioni di alcuni Paesi

Le carte geografiche sono rappresentazioni grafiche di una porzione di territorio. Ma si possono anche chiamare rappresentazioni simboliche perché gli elementi del territorio non sono rappresentati in modo realistico, con le loro forme originali o reali, ma attraverso simboli e colori: ad esempio, nelle carte fisiche si usano i colori per capire l’altitudine del territorio, la profondità del mare etc, o ancora, per esempio in una carta politica, si utilizzano simboli diversi per identificare una capitale rispetto a una città più piccola. Questi elementi sono illustrati dalla leggenda, una specie di guida alle informazioni di quella carta, che ci fa capire cosa vogliono dire quei simboli e colori. Una volta letta la leggenda ci possiamo tuffare nel mondo delle carte geografiche, chè un mondo bellissimo.

Bisogna capire, però, che le mappe sono tutte quante diverse e, allo stesso tempo, tutte un po’ giuste e un po’ sbagliate.

Innanzitutto bisogna fare i conti con un dato importante: non si possono inserire tutti gli elementi sulla carta, quindi i cartografi fanno una selezione di quello che si deve o non si deve inserire nelle carte. In secondo luogo, bisogna tenere presente che la geografia va di pari passo con altre discipline, come le scienze e la storia e quindi si è perfezionata sempre di più, ma che, nel tempo, ha subito l’influenza di altri “saperi” o credenze. Per esempio molto spesso le carte che noi utilizziamo riproducono l’Europa o l’Italia al centro. Ma in Cina cosa avranno nel centro? La Cina o l’Europa? E ancora, nel passato, avete mai pensato che ogni popolo mettesse al centro della carta il proprio territorio?

Ancora un altro aspetto: nel Medioevo, ad esempio, alcune carte geografiche rappresentano Dio al di sopra della Terra, della mappa, come a far capire chi comanda. Oggi sarebbe impensabile. Eppure, le carte non sono del tutto vere nemmeno oggi. Perché, sebbene tentino di rappresentare nel miglior modo la superficie del globo, in realtà quella superficie è difficilmente riproducibile su una carta piana, visto che la terra è tonda e leggermente schiacciata ai poli. Dunque, ogni mappa attua una distorsione della reale superficie terrestre. La distorsione cambia le proporzioni dei continenti, per esempio.

Vediamo meglio: la proiezione di Mercatore, per esempio, è una proiezione cartografica “conforme e cilindrica”. Questo significa che la proiezione nasce dall’idea che possiamo distendere, srotolare, un cilindro sul quale abbiamo proiettato la terra fino ad ottenere un rettangolo. La proiezione quindi non riesce a coprire pienamente le aree prossime ai Poli e questo vuol dire che tutte le terre più vicine ai poli sono rappresentate in modo più esteso di quanto siano davvero e, siccome la maggior parte di queste zone sta sull’emisfero boreale, Europa, USA, Canada, Scandinavia, Siberia e soprattutto Groenlandia, risultano più grandi di altre terre. In pratica, all’altitudine maggiore di 70° a Nord o a Sud, la proiezione di Mercatore è praticamente inutilizzabile. Questa proprietà, però, la rende facilmente utilizzabile ai navigatori, dato che ci vuole pochissimo per riportare delle direzioni da punto a punto, grazie agli angoli generati da meridiani e paralleli che sono preservati, perché si intersecano ad angolo retto. Questa proiezione, disegnata nel 1569, è diventata la più conosciuta e usata per le mappe nautiche, ma non solo, è tuttora utilizzatissima: sapevate che è la carta che usiamo oggi in Google Maps? Google usa la Mercatore Sferica, un tipo di proiezione di Mercatore, mentre ha usato una proiezione equirettangolare fino al 2005. Infatti, nonostante la sua distorsione, la Mercatore si adatta bene perché può essere spostata e scalata.

Mappa di Mercatore

Dunque, se la carta di Mercatore è stata creata per la navigazione, quella di Peters,
del 1974, è stata creata per rispecchiare le reali misure in scala 1:635.500.000 (ossia che un cm2 equivale a 63.500 km2 di superficie reale) e mantiene sempre ortagonali, su un piano a due dimensioni, i meridiani e i paralleli. Questo va a discapito della precisione nella rappresentazione delle distanze verticali. In particolare, però, la carta di Peters è veritiera in quanto mantiene uguale la distanza di tutti i punti dall’Equatore, perché i meridiani si uniscono ai poli. Inizialmente, poiché la proiezione di Peters mostrò più esattamente le dimensioni dei paesi in via di sviluppo, molte organizzazioni caritatevoli gli diedero sostegno, visto che la carta di Mercatore fu tacciata di eurocentrismo: al tempo di Mercatore, infatti, l’America era stata scoperta da poco e siamo nel periodo delle grandi esplorazioni geografiche, sempre seguite dai commerci selvaggi dell’Europa a danno delle colonie in India e nel Nuovo Mondo. La rappresentazione del mondo di Mercatore, quindi, pone l’idea dell’Europa come centro politico ed economico del mondo, tanto da dare un’immagine del mondo falsata. Per esempio l’Europa più grande dell’America Latina, che invece risulta più del doppio più grande. O ancora, la Germania è esattamente al centro e non a caso Mercatore era tedesco. Ne consegue quindi che rappresentazione della Terra che siamo abituati a vedere fa sembrare più importanti i paesi del Nord del Mondo. Ed era proprio per questo che Peters affermava che la sua rappresentazione per “aree equivalenti” rendeva giustizia a tutti i Paesi del mondo. Ma i sostenitori di Peters non avevano considerato il periodo storico: la proiezione di Mercatore è stata concepita essenzialmente per la navigazione, quindi non per questioni politiche ma perché era quello di cui si sentiva necessità in quel momento storico.

Mappa di Peters
@wikipedia: “in questa carta la riga celeste sta ad indicare l’Equatore mentre le due righe blu scuro stanno ad indicare i due tropici (Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno)”.

Oggi entrambe le proiezioni sono state quasi ovunque sostituite da proiezioni più precise: nelle aule di scuola probabilmente c’è la proiezione di Robinson o quella di Winkel Tripel, ma di questo parleremo in un altro articolo.

Abbiamo capito, insomma, che tutte le carte sono diverse, e al contempo giuste e sbagliate. O meglio, imperfette. Non esiste una carta perfetta, perché le carte possono essere solo vicinissime alla realtà. Esistono però molte carte che esaminano a fondo e per bene un aspetto. Per avere idea di più aspetti devo incrociare informazioni, fonti e…mappe.

Articolo di Antonio Orsini e Alessandro Tocci, IIB

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Il limite, qualche riflessione

Un limite è una protezione, ma se lo oltrepassi puoi cacciarti in un oceano di guai, ma anche in un oceano di fortuna, basta avere la curiosità, l’energia e la voglia di vivere.
Federico Curti IIC

Un limite è qualcosa che spesso l’uomo ha dovuto fronteggiare nella storia. Uno dei limiti più famosi di tutti i tempi è “l’ermo colle” della bellissima poesia L’Infinito di Leopardi. La “siepe che il guardo esclude” è proprio la descrizione di un limite, di un confine che l’autore stesso vuole sorpassare, perché il desiderio di sapere è proprio dell’uomo. L’Oceano anche spesso è stato un limite geografico, fino a quando non si è iniziato a solcare le sue onde per scoprire terre nuove. Quindi io penso che l’atteggiamento con il quale si affronta il concetto di limite possa fare la differenza.
Angelica Ianiro, IIC

Nella società di oggi si è sviluppata una forma di poco rispetto verso le persone considerate diverse. Il diverso nasce da un limite. Vero o immaginario. Il razzismo è per esempio un fenomeno irrazionale e ingiusto ma, ahimè, molto comune. Così come le discriminazioni verso i disabili. Bisognerebbe semplicemente far capire ad alcune persone che se mettono dei limiti troppo rigidi possono perdersi tante cose belle, per esempio gli incontri con le altre persone. Mi viene da pensare che “ognuno di noi è meravigliosamente unico e meravigliosamente diverso”. Sandro Penna diceva: “Felice chi è diverso, essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso, essendo egli comune”. Secondo me ha ragione!
Arianna Gasbarro, IIC

Superare una limite è come superare una paura e la paura è un ostacolo che ti assilla, che prima o poi devi affrontare. C’era un ragazzo di nome Jack, che aveva paura dell’altezza e di volare. Lui non andava mai a fare scampagnate, scalate o viaggi all’estero. Un giorno si convinse ad andare a fare una scalata con i suoi genitori, perché voleva superare a tutti i costi questo limite che si era imposto. Cominciarono quindi a salire, e lui si impose di non guardare mai indietro. Dopo tanta fatica arrivò alla prima tappa della scalata e nonostante tutto non riuscì a guardarsi dietro. Cominciò a salire per l’ultima tappa ed era proprio da lì che voleva guardare giù: dal punto più alto. Arrivò in cima senza fiato, sfinito, senza energie, ma si convinse a girarsi, anche se aveva tantissima paura. Aprì gli occhi e guardò giù: vide un panorama mozzafiato. Da quel giorno la scalata diventò il suo hobby preferito.
Valerio Lombardi, IIC

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Fake News

Cominciamo in maniera diretta: le fake news sono delle false notizie. O notizie esagerate, distorte. Comunque non attendibili.

Quindi è importante essere consapevoli del fatto che oggi esistono articoli che contengono informazioni del tutto o parzialmente inventate e ingannevoli, nate
proprio con lo scopo di disinformare – paradossalmente – attraverso i mezzi di informazione. La fake news dunque è una notizia volontariamente manipolata. In passato la falsa notizia era qualcosa che restava tra chi l’aveva raccontata e la cerchia di chi l’aveva ascoltata. Oggi invece è fin troppo facile diffondere fake news, soprattutto attraverso i social network. E questo vuol dire che in un attimo la notizia potrebbe fare il giro del mondo.

Ci chiediamo allora:
per quale motivo nascono le notizie false? Soprattutto per questioni di business e pubblicità: i siti che condividono le fake news attirano gli utenti che, visualizzando i contenuti, fanno guadagnare i creatori.

Come attirano gli utenti? Con i titoli clik-baiting, in italiano acchiappaclick, che sono quei titoli ben studiati che impressionano gli utenti, che li incuriosiscono anche se non sono veritieri. Ma soprattutto che, dopo aver catturato l’attenzione del lettore, non svelano il contenuto dell’articolo o del video, quindi l’utente è costretto a cliccare se vuole saperne di più.

Come riconoscere le fake news?
La prima cosa da fare è verificare la fonte. Se, per esempio, la notizia viene da un sito non attendibile, mai sentito prima o anche col nome molto simile a un sito vero ma con qualche lettera diversa (anche una sola a volte), è bene insospettirsi.
Si dovrebbe poi leggere con attenzione il pezzo, interamente, e farsi delle domande sull’argomento, ma soprattutto cercare altre informazioni, comparare e confrontare con altre fonti, con altri siti, altri quotidiani etc.
Non ci si deve fidare dei titoli, come dicevamo, ma nemmeno di foto visibilmente ritoccate o di fotomontaggi. E poi, altro piccolo ,a grande accorgimento è quello di non condividere o diffondere una notizia se non si è certi della sua veridicità.

Qui, su questo sito interessantissimo, Fact Checkers, troverete una guida molto accattivante e semplice allo stesso tempo, realizzata in collaborazione con Sky, che insegna come distinguere una fake news e anche un quiz per verificare se hai imparato a farlo. Vi invitiamo a consultarla.

E poi, qui sotto, un utile strumento del MIUR in collaborazione con altri enti che serve per capire la situazione e affrontarla al meglio, ma anche e soprattutto fronteggiarla, visto che ormai è un fenomeno diffuso. Anche se c’è scritto decalogo quando i punti sono solo 8 ci sembra ben fatto. Eccolo qui:

Il 2 aprile, inoltre, è l’International Fact-checking Day, giornata dedicata alla sensibilizzazione contro le notizie false e manipolate.
Concludiamo con una nostra riflessione.
Pensiamo che al giorno d’oggi il business e il denaro influiscano troppo su vari argomenti e vari settori del lavoro e della vita quotidiana; ma soprattutto che la gente deve studiare e informarsi, altrimenti cadranno sempre nella rete delle fake news.

Articolo di Arianna Brescia, Marta Canale e Lucia Lauriente

Articoli Recenti, Sostenibilità

Rifiuto, una strana parola

CHI INQUINA? Chi non conosce gli effetti dell’inquinamento sulla propria salute.

PERCHE’? Per lo scarso valore che si attribuisce ai beni ambientali e per risparmiare sui sistemi di smaltimento dei rifiuti

COS’E’ UN RIFIUTO?

Un rifiuto è “qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono”.Ma il significato negativo che attribuiamo ai rifiuti non riguarda la natura, visto che anche la natura ricicla: sono i nostri scarti, quelli dell’uomo, che sono sporchi, pericolosi e che sono tantissimi ad essere diventati un vero e proprio problema. La natura ci insegna però a riciclare i rifiuti e a farli diventare nuovamente prodotti utili, infatti, come sappiamo, in un ecosistema perfettamente naturale non esistono rifiuti. Potremmo imparare da questa grande Maestra come comportarci e potremmo iniziare dalla raccolta differenziata, che è l’operazione che permette di separare i rifiuti suddividendo quelli da smaltire (rifiuti non recuperabili) da quelli che invece si possono recuperare, riciclare o reimpiegare. La raccolta differenziata diventa un grande risparmio di energia. Gettare via qualcosa significa, infatti, gettar via anche l’energia consumata per produrla. Basta solo informarsi presso il proprio comune di residenza o su siti ufficiali, così da capire bene cos’è l’organico, ad esempio, o il secco, e così via.

La classificazione dei rifiuti:

rifiuti urbani

  • Rifiuti domestici anche ingombrantirifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade
  • rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche
  • rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali.

rifiuti speciali

  • I rifiuti da lavorazione industriale
  • i rifiuti da attività commerciali
  • i rifiuti derivanti dall”attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi
  • i rifiuti derivanti da attività sanitarie
  • i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti
  • i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti
  • altri.

rifiuti urbani pericolosi (RUP)

Sono i rifiuti che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze pericolose e che quindi devono essere gestiti diversamente, come per esempio i medicinali scaduti e le pile.    

rifiuti speciali pericolosi

Sono quei rifiuti generati dalle attività produttive che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze inquinanti, come:

  • Raffinazione del petrolio
  • processi chimici
  • industria fotografica
  • industria metallurgica
  • oli esauriti
  • solventi
  • produzione conciaria e tessile
  • impianti di trattamento dei rifiuti
  • ricerca medica e veterinaria

Dopo aver capito un po’ quali sono i rifiuti e quali sono quelli più pericolosi, chiudiamo con la regola delle 4 R, che è facilissima da memorizzare e ci aiuta molto nel farci ricordare quali sono i comportamenti giusti da adottare:

RIDUZIONE… produrre meno rifiuti. Come? Scegliendo prodotti costituiti da minor materiale di imballaggio, portando da casa la borsa della spesa, servendosi di prodotti ricaricabili, ecc.

RIUTILIZZO…utilizzare più volte una cosa prima di gettarla via permette di allungare il “ciclo di vita” degli oggetti. Come? Acquistando prodotti più facilmente riutilizzabili riducendo l’USA E GETTA, preferendo contenitori con vuoto a rendere, o gli imballaggi minimi, o riutilizzabili, o riciclabili con minimo impatto ambientale, ecc.

RECUPERO… Valorizzare il rifiuto come una risorsa per ricavare energia Come? Bruciando il legno nel caminetto per produrre calore.

RICICLO…Trasformare nuovamente il materiale. Come? Selezionando i rifiuti, adottando la raccolta differenziata, producendo ecodesign o ecogioielli etc. 

Beh, che dire? Differenziatevi!

Articolo di Michele Altieri, IIA


Articoli Recenti, Cambiamento climatico e Agenda 2030, Smart City, Sostenibilità

Impronta ecologica

Si legge su Wikipedia che “l’impronta ecologica – o ecological footprint-  misura l’area biologicamente produttiva di mare e terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti”. Oggi purtroppo sappiamo che l’umanità utilizza l’equivalente di un pianeta e mezzo, ovvero il nostro pianeta ha bisogno di un anno e sei mesi per rigenerare tutto ciò che noi usiamo in un anno. Si pensa quindi che, se non ci saranno cambiamenti di rotta, nel 2030 avremo bisogno di due pianeti per far fronte alla nostra richiesta.

immagine tratta da @figliodellafantasia.wordpress.com

Possiamo allora fare qualcosa per migliorare questa situazione?
E se rispondessimo con un’altra domanda?
Che cos’è una smart city?

Forse la smart city è una parte della soluzione. Smart vuol dire intelligente e una città è intelligente se sa salvaguardare l’ambiente, se è dotata di un piano urbanistico innovativo e se permette ai cittadini di usufruire dei servizi in maniera veloce, grazie anche alla tecnologia. Dunque se diventa sostenibile. Come?
Attraverso, per esempio, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione: le Ict (Information and Communication Technology) infatticercano di garantire energia sempre più verde e pulita. Oppure le telecomunicazioni, che possono facilmente creare dei collegamenti tra persone e strutture attraverso la condivisione, raggiungendo più persone possibile e minimizzando gli sprechi. Anche mio articolo rientra in questo sistema. Sistema è una parola che ci piace, perché una città intelligente è un sistema, è una comunità che ottimizza l’uso delle risorse ma lo fa con l’idea di migliorare la qualità della vita.

Una città, quindi, può essere smart solo se lo sono anche i suoi cittadini. Siete d’accordo? Quindi, essere smart nel 2020 significa adottare comportamenti responsabili, prendersi cura della nostra casa che è il mondo, ma soprattutto, significa conoscere e informarsi: se io sono ignorante, cioè non conosco i problemi, non potrò mai trovare soluzioni.

Facciamo un piccolo ripasso, allora, ricordando che alcune risorse non sono rinnovabili. E questo è un primo problema perché sono risorse disponibili in quantità limitate e con tempi di ricostruzione molto lunghi. E quindi l’uomo dovrebbe usarle in modo consapevole. Eppure l’uomo ormai usa in maniera sbagliata e smisurata ogni risorsa, anche quelle rinnovabili che sono collegate ai cicli della materia e quindi si rigenerano.

È la natura stessa quindi che ci insegna a riciclare: essa stessa riesce a ‘’riciclare’’ i suoi rifiuti. Potremmo imparare da lei a riciclare, a ridurre e a differenziare. Che ne dite? Ne parliamo anche qui, cliccate.

Articolo di Michele Altieri, IIA

Articoli Recenti, Diritto e Costituzione: tra libertà e senso civico

Articolo 11

In questa rubrica dedicata alla nostra bellissima Costituzione Italiana analizzeremo e commenteremo gli articoli che più ci hanno colpito. La Costituzione della Repubblica Italiana è la Legge fondamentale dello Stato ed è stata approvata dall’Assemblea Costituente a dicembre del 1947 ed entrata in vigore il 1º gennaio del 1948. Gli articoli in totale sono 139 e ci sono poi anche 18 disposizioni transitorie e finali. Mi piace iniziare con l’art.11, perché parla di guerra, tema sempre purtroppo attuale. Vediamo cosa dice e in che modo l’Italia si pone di fronte a questo argomento:

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”

Cosa significa?

L’Italia con questo articolo ripudia la guerra in quanto strumento di limitazione alla libertà degli altri popoli. Non possiamo non soffermarci proprio sul termine “ripudio”. Vuol dire che l’Italia in qualche modo non ha diritto di utilizzare la guerra per i motivi suddetti e nemmeno per risolvere le controversie tra i vari Paesi, in quanto si dichiara contraria ad ogni forma di intolleranza e all’uso della violenza, secondo obblighi assunti a livello internazionale. Infatti, piuttosto che all’utilizzo delle armi si dovrebbe fare ricorso alle discussioni democratiche, ad accordi che promuovano la pace perché questa venga praticata, attuata, semplicemente. La pace non può restare un concetto astratto.

Inoltre, l’Italia favorisce le Organizzazioni Internazionali come l’ONU che hanno il nobile obiettivo di garantire e assicurare la giustizia e la sicurezza di tutti. Di garantire la Pace, appunto. E non a caso spesso queste organizzazioni nascono dopo le guerre, dopo le sofferenze sperimentate dai popoli in guerra.

foto tratta da @controlaguerra.blogspot.it

Questo articolo ricorda che l’Italia ripudia la guerra in tutte le sue forme, riferendosi però principalmente alla guerra offensiva, mentre in caso di guerra difensiva, in caso di attacco militare da parte di un paese straniero quindi, si fa riferimento anche agli articoli 78 e 87: le Camere possono deliberare lo stato di guerra e poi la dichiarazione spetterebbe al Presidente della Repubblica.

Ci auguriamo davvero, con il buon senso che ci deriva dall’essere umani, ma anche dallo studio e della conoscenza della Storia, di poter smettere prima o poi di parlare di guerra.


Articolo di Endrit Bibaj