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Frontiere e confini

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Revolutionary road – la strada della gentilezza

Si chiama “Revolutionary road – la strada della gentilezza” l’opera finita, così come l’intero progetto da cui nasce, cominciato lo scorso anno e proseguito in questo, avente come tema il contrasto e la prevenzione ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo. La classe 3^B, in rappresentanza di tutto l’Istituto Tecnico Economico per il Turismo “A. Argoli” di Tagliacozzo, ha realizzato un murale insieme allo Street Artist Andrea Parente, in arte Alleg, per concludere nel modo migliore e più originale possibile il percorso sopracitato, portato avanti dalla nostra Referente d’Istituto per il bullismo e cyberbullismo, la professoressa Antonella Finucci. Una splendida opera di street art, dunque, che ha lo scopo di comunicare messaggi la cui importanza, talvolta, viene minimizzata.

Sentirsi soli, incompresi, aver paura, non capire il valore dell’autostima: tutto questo è quel che noi ragazzi abbiamo voluto racchiudere nei nostri bozzetti, realizzati in classe durante alcune ore di brainstorming con l’artista e la prof, diventati poi un capolavoro artistico tutto da ammirare. Grazie al talento di Alleg, che ha saputo dare la sua cifra distintiva al murale e un’organicità complessiva, all’idea e all’energia della prof, nonché alla sua immensa fiducia in noi studenti, grazie all’appoggio e al supporto gentile e sorridente della Dirigente Scolastica Clementina Cervale e alla straordinaria forza di volontà ed energia di noi alunni che abbiamo davvero messo mente, intelligenza, cuore e braccia in questa iniziativa, ancora una volta il nostro istituto lancia un messaggio toccante, uno di quelli che certamente non lascia indifferenti: impariamo a stare bene con noi stessi e scomparirà ogni tipo di violenza.

Questo è il nostro messaggio e ve lo lasciamo in immagini: l’arte di strada è impattante, colorata, libera e di tutti. Ci piacerebbe che ogni passante si chiedesse il significato di quei disegni, e ne comprendesse il senso più profondo. Ci piacerebbe che ognuno di voi possa percorrere la nostra “strada della gentilezza”.

Le facce che esprimono la nostra interiorità: il sorriso indica la serenità di quando si impara a voler bene a se stessi.
Le facce della collettività contrapposte ai tentacoli di Medusa (non si vede in foto) della massa: collettività VS massa, per riflettere su quanto la comunità possa insegnare il modo giusto e bello di stare insieme, condividendo. Senza essere massa.
La rosa che nasce da una spada che a sua volta riesce a bucare lo scudo delle nostre corazze. Solo allora sbocceranno fiori dalle nostre anime.
Imbiancare il muro prima di creare.
L’autostima allo specchio. Non va bene se è troppa, non va bene se è poca. Ma se si raggiunge l’equilibrio, beh, quella è la chiave di tutto.

Due facciate si contrappongono, il sole e la luna si guardano: da un lato la notte, e le parole difficili, da un lato il giorno e le parole belle, da perseguire. I disegni emergono colorati e brillanti dal nero del fondo. Ve ne raccontiamo qualcuno.
➢ SOLITUDINE: chi è vittima di bullismo molte volte può ritrovarsi da solo, senza un appoggio. Chi è bullo spesso molte volte può ritrovarsi da solo, senza un appoggio. Dunque, imparare a stare bene con se stessi, anche da soli, è il primo passo per non cadere nelle trappole del bullismo;
➢ PAURA: una luce che illumina un viso genera un riflesso gigante e sta a significare che la paura ingigantisce le situazioni, quindi bisogna cercare di essere razionali;
➢ APPARENZA: non sempre ci si mostra per come si sta realmente;
➢ CAMPANILISMO: a causa di un attaccamento esagerato alla propria città o al proprio paese, o Paese, a volte si finisce per compiere atti di bullismo escludendo chi ha diversa provenienza;
➢ INCLUSIONE: due mani che si stringono raccontano che insieme è tutto più bello:
➢ INTERIORITÀ: un viso che sorride circondato da altri volti che non hanno la bocca sta a significare la bellezza di sapersi ascoltare, di dare voce alla propria interiorità, perché è che ciò che davvero ci farà sorridere nella vita;
➢ AUTOSTIMA: uno specchio e un viso che si guarda in maniera oggettiva, senza abbattersi ma senza nemmeno darsi arie;
➢ COLLETTIVITÀ VS MASSA: la collettività è il modo corretto di stare insieme, la massa fa solo uniformare e rende tutti uguali.

Vi lasciamo giusto qualche foto della realizzazione, l’opera finita aspetta di essere vista di persona, a Tagliacozzo, lungo il sottopassaggio che collega la città da una parte all’altra, dalla scuola fino alla stazione degli autobus. Le vernici utilizzate sono ecocompatibili, a base d’acqua, perché vogliamo salvaguardare il nostro territorio. Buona passeggiata attraverso la strada della gentilezza, credeteci, è la più rivoluzionaria di tutte.

Davide, Sara, Sofia A., Isabella, Giada, Francesca C., Simone, Vincenzo, Giulia, Sofia M., Kevin, Alessandra, Alessio, Savana, Lorenzo, Renis, Francesca T..

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La vera domanda.

E buon 2023.

La guerra esiste da un bel po’ di millenni, è senz’altro vero, ma la nostra generazione continuerà davvero a portarla avanti? Questa è la vera domanda.
Forse l’unica da farci davvero.

Il 2022 è cominciato con una guerra a due passi da casa nostra, e ci ha sconvolti tutti. Ma davvero, dopo tutti i secoli di storia, dopo tutte le battaglie e le conquiste di diritti e di saperi, ancora vogliamo risolvere le controversie con la guerra? Ancora c’è chi ammazzerebbe un altro uomo?
La Costituzione Italiana, bellissima e nata proprio dopo le sofferenze di una guerra, ci dice nell’art 11 che l’Italia ripudia la guerra. E secondo me la nostra generazione terrà fede a questo principio. La generazione Z, tanto infamata, sempre definita senza un cuore e attirata solamente dai cellulari…è triste tutto ciò.
Vorrei far notare che noi siamo grandi sostenitori della piena pace, senza mezzi termini e mezze paci (trucchetto furbo della mezza pace, col quale altre generazioni poi usano la guerra), e che il cellulare spesso lo usiamo per informarci: questa guerra, così come le altre sul suolo mondiale oggi, è del secolo scorso, non ci appartiene, noi siamo diversi.

Noi pensiamo che la diplomazia e il dialogo siano le armi della politica e della geopolitica, non le bombe.

Noi abbiamo capito la bellezza della condivisione e la ricchezza della diversità: abbiamo amici che vengono da ogni parte del mondo e il razzismo non sappiamo più nemmeno cosa sia.

Noi davvero non lo capiamo come si possa ancora pensare di fare la guerra. Mi chiedo e vi chiedo, ma alla fine non sono tutti dei perdenti? E non sono tutti più poveri dopo una guerra? E soprattutto, non è più povero il pensiero di tutti dopo una guerra??? Vi prego pensateci e siate onesti nel rispondere, pensate ai passi indietro che si fanno con una guerra.

E ancora, perché si deve pensare di essere autorizzati in qualche modo a sottrarre la vita a qualcuno, magari anche a bambini innocenti? In nome di cosa? Di un confine? E il confine non può definirsi intorno a un tavolo? O ancora dobbiamo avere una mentalità ottocentesca di risolvere le questioni? “Imagine there’s no countries,it isn’t hard to do, nothing to kill or die for” , belle queste parole, le conoscete perché sono della vostra generazione. Perché le rendete vuote allora? Facciamole nostre davvero!

Cari signori della guerra, mi spiace per voi, il mondo è un altro, alla domanda iniziale noi rispondiamo così. La prof di storia una volta ci ha detto che il libro di storia potrebbe anche chiamarsi libro di “Storia dell’evoluzione del pensiero e della civiltà”. E pensandoci è una cosa vera: le cose vanno molto meglio del passato, ma saremo davvero evoluti quando elimineremo le guerre, quando leggendo un libro di storia diremo: ma come è stato possibile che gli umani abbiano fatto questo?

E allora, siccome mi piace pensare che ogni anno che passa sia un gradino in più da salire nella scala della civiltà, spero vivamente che tutto questo finisca un giorno, un giorno molto vicino, e spero che il 2023 ci porti la pace piena.

Giulia Laurini, classe II A (Istituto Argoli, primo grado)

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La propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro

Allan David Bloom disse “La mancanza di lettura di buoni libri indebolisce la visione e rafforza la nostra tendenza più fatale: il convincimento che il qui ed ora sia tutto quello che c’è”.

Riflessioni a partire dall’articolo di Tim Parks, Sì. viaggiare (con libri e scrittori).

Nel corso della nostra vita ci capita spesso di voler evadere dalla realtà e dai nostri
problemi e sicuramente l’opzione più piacevole è quella di viaggiare, non sempre con amici, bisogna saper anche stare bene da soli per staccare un po’ la presa da tutto ciò che ci circonda.
Ma non sempre è possibile e non è questo l’unico modo per essere spensierati, tra i più comuni abbiamo: ascoltare la musica o leggere un libro, allora perché non unire le due cose? Perché non viaggiare mentre si legge o magari mentre si scrive un libro? O perché non scrivere un libro di viaggio? Leggere un buon libro può aiutare a non pensare alle cose brutte? Sicuramente sì, proprio perché può liberare la mente e può far schiarire le idee.

Come dice l’articolo di Tim Parks, “Sì. viaggiare (con libri e scrittori)”, mescolandosi con gli stranieri, con gli sconosciuti, il viaggiatore acquisirà una maggiore consapevolezza di sé; ed è vero perché viaggiando andiamo a conoscere nuove
culture, nuove tradizioni, nuovi pensieri e nuovi modi di vedere la vita; il viaggio è in fondo un incontro con una realtà diversa dalla nostra.

E allora se esiste un’affinità tra libri e mezzi di trasporto, tra viaggio e lettertura, ci sono musicisti, scrittori o poeti che hanno trattato questa tematica? Uno scrittore lo conosciamo tutti, sì, esatto, proprio lui, Dante Alighieri. Dante durante gli anni del suo esilio, dopo essere stato accusato di baratteria, scrive le sue opere più famose, tra le quali troviamo naturalmente la Divina Commedia. Quest’ultima tratta appunto del viaggio che compie Dante nell’oltretomba attraversando Inferno, Purgatorio e Paradiso. In ognuna è accompagnato da qualcuno: prima da Virgilio, poi per un breve tratto da Beatrice, la donna amata che per lui rappresentava una donna angelo, salvifica, e infine da San Bernardo, che intercederà per lui presso Maria e lo porterà a contemplare Dio. Dante viaggia quindi in un mondo ultraterreno dove incontra personaggi importanti, anche le anime dei dannati oltre alle sue guide, e da ognuno impara qualcosa e trae un insegnamento.

O ancora, possiamo far riferimento a Marco Polo, in quanto la sua opera “Il Milione” è il primo reportage di viaggio, contenente anche descrizioni di popoli e le loro, relative, diverse usanze. Lo stupore del mercante di fronte all’Oriente è uno dei racconti più entusiasmanti di quello che è il “diverso”. E ancora, come disse Henry David Thoreau: “Quanti uomini hanno datato l’inizio della loro vita dalla
lettura di un libro”; o ancora come dice Baricco: “Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro?”

E tornando all’articolo, fu proprio leggendo in treno che Anna Karenina capì di voler cambiare vita. Perché il viaggio stimola riflessione. Questo perché non sempre tutto quello che ci accade va come vorremmo, perciò leggere è anche un modo di immedesimazione; un libro riesce a conquistare il tuo interesse solo se leggendolo riuscirai ad immedesimarti in esso, identificandoti con i personaggi ed immaginandoti lo scenario rappresentato nella storia. Non tutti i racconti possono piacere, ma penso che quelli di viaggio siano tra i migliori in quanto ti portano alla consapevolezza di ciò che c’è nel mondo al di fuori di noi e ti invogliano a vivere nuove esperienze o ad incontrare nuove persone con usanze diverse dalle nostre.
Allan David Bloom disse “La mancanza di lettura di buoni libri indebolisce la visione e rafforza la nostra tendenza più fatale: il convincimento che il qui ed ora sia tutto quello che c’è”. Ed è vero, dovremmo imparare ad andare oltre, guardare più in là del nostro essere. Come disse Francis de Croisset “La lettura è il viaggio di chi non può prendere un treno”.

Sofia Marini, IIIB

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Non è vivere, ma vivere bene

E allora è nostro dovere non tralasciare i piccoli particolari che ci permettono di guardare le cose con una prospettiva differente.

Riflessioni a partire dall’articolo di Tim Parks, Sì. viaggiare (con libri e scrittori).

“Il tempo per leggere, così come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere”.
Questa citazione, tratta da un’opera di Daniel Pennac, riassume in poche parole
quello che dovrebbe essere il nostro modus vivendi quotidiano. Amare e leggere dilatano il tempo della nostra vita e la vita, infatti rappresenta una splendida occasione, la nostra splendida occasione, per vivere nuove esperienze, facendo della scoperta e della curiosità i motori per menti e animi coraggiosi.

Molto spesso, si tende a considerare il libro come qualcosa di noioso od opprimente, inutile in una società in cui sempre più spesso dominano la velocità e la frenesia. Molti di noi non sono consapevoli di ciò che un’opera letteraria può regalarci, un po’ per ignoranza e, a volte, anche per indifferenza. Un buon libro, considerati i gusti ed i generi prediletti da ognuno, può rappresentare un’esperienza di crescita unica, dal punto di vista non soltanto culturale, ma anche pedagogico e sociale. Leggendo, infatti, entriamo in contatto con mondi paralleli, talvolta anche fantastici, dai quali certamente possiamo ricavare insegnamenti morali di estrema importanza. Si compiono dei veri e propri viaggi grazie alla lettura; potremmo dire che è
proprio grazie a quest’ultima se viviamo emozioni che, in alternativa, solo i veri
spostamenti potrebbero offrire, facendo un’analisi pragmatica e oculata.

E allora oggigiorno, in un mondo che mira sempre più al progresso, allo sviluppo e alla risoluzione di problematiche ritenute di vitale importanza dai grandi magnati
della Terra, è nostro dovere non tralasciare i piccoli particolari che ci appaiono come futili o superficiali, ma che in realtà ci permettono di guardare le cose con una prospettiva differente, più positiva, facendo la differenza. Tramite “strumenti” quali il viaggio (reale ma anche immaginario, grazie ai libri) abbiamo l’opportunità di evadere da una realtà che sentiamo troppo spesso non nostra, essendo essa povera di ideali e principi.

Varie indagini condotte su larga scala, oltretutto, dimostrano come sia migliore la “prospettiva di vita” di chi viaggia e legge molto. Tutti noi, nondimeno, dobbiamo cercare di avere una mentalità che sia il più aperta possibile. Solo quando la maggioranza acquisirà tale mentalità, sarà legittimo dire di aver raggiunto un progresso vero, interiore ma evidente, visibile a tutti, quando essa saprà dire con fermezza che “l’importante non è vivere ma vivere bene”, come diceva Socrate nei propri apologhi. È passato molto tempo, ne passerà molto altro ancora probabilmente, eppure continuo ad essere sempre più convinto della veridicità di tale affermazione, la quale resta e resterà indubbia e indiscussa, almeno per me.

Simone D’Ascenzi IIIB

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Mercanti e mercati: la potenza di un incontro

Questo articolo è un vero e proprio viaggio: ce ne andremo in giro alla scoperta dei mercati del mondo e quindi allacciate….ah no, no! Meglio dire caricate i carri, sistemate i cavalli e…andiamo!

Il nostro viaggio comincia nel pieno Medioevo, un periodo storico particolare, ricco di avvenimenti belli e meno belli, di sicuro molto fervente. In questo momento, soprattutto in Europa, i mercanti erano persone che iniziavano a vivere del loro lavoro: il commercio. Il mestiere di mercante nasce proprio in questo momento e la parola mercante viene dalla parola mercantante cioè proprio colui che pratica la mercatura.
Dall’anno mille e fino a tre secoli dopo le citta si popolarono grazie proprio ai mercanti: non erano più, ormai, luoghi di passaggio ma ritrovi dove fare affari. Quindi si crearono anche scambi di merci con le popolazioni straniere. Insomma, si andava formando il mondo che poi avrebbe preso la forma che conosciamo. Tutt’oggi infatti si sono mantenute delle tradizioni e dei modi di vivere che vengono da un lontano passato e che i popoli tengono a rispettare.

La prova concreta di quel che stiamo dicendo sono i mercati: il mercato non è solo un luogo, ma un concetto. Il mercato è incontro, è scambio di merci e di idee, è stupore di fronte alla varietà del mondo. Un mercato è poi, anche, naturalmente, un luogo in cui si possono comprare dei prodotti.

Leggendo qua e là su internet e stimolata dalle lezioni di geografia a scuola, ho cercato informazioni sui mercati del mondo e devo dire che sono rimasta meravigliata da tanta varietà e bellezza.
Luoghi di odori, sapori, colori: li vorrei vedere tutti.

Vorrei assaggiare, toccare, ascoltare.

Il mercato del pesce a Tokyo, ad esempio, secondo me è interessantissimo: offre dal pesce più economico al caviale più lussuoso ed è il più grande del mondo. Oppure il Water Market a BangKok, dove la merce viene scambiata su delle barche che galleggiano sulle acque; il Gran Bazar a Istanbul, che è pieno di spezie d’Oriente e di tessuti preziosi, è uno dei mercati più antichi e colorati del mondo. Ancora: il souk di Marrakech, in cui vedrete insieme pollame, pellame, dolci buonissimi marocchini, pantofole, servizi da tè. Veramente un posto che vorrei vedere. E la Boqueria di Barcellona? 800 bancarelle di frutta profumata, formaggi, vini. Che meraviglia! Ancora, i mercatini di Natale in Europa, soprattutto al nord, in cui non solo si comprano oggetti fatti a mano, magari con lane pregiate che scaldano l’inverno, ma si acquistano anche cose mangerecce, come street food tipico o infusi da passeggio che tengono calde le mani. Se cercate un ambiente underground, punk- gothic, Camden Town è il luogo che fa per voi: se state cercando un souvenir originale a Londra, qui lo troverete! E non parliamo dell’Italia, che è piena di mercati, da nord a sud, grandi e famosi ma anche piccoli e conosciuti solo ai locali: Piazza Palazzo, Piazza delle Erbe, Ballarò, San Gregorio Armeno, Campo de’ Fiori.


Che si chiami dunque mercato o suk, che è la denominazione usata del mondo arabo, io spero che nella mia vita potrò vedere diversi mercati perché mi sembra un bel modo per avvicinarmi alla cultura di un Paese.

Articolo di Roberta De Angelis, 2C

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L’amore oltre la morte: l’Olanda dei Tulipani

La parola “tulipano” viene dal turco “tulbend”, che significa “turbante”. E infatti rimanda al copricapo che si usa nelle zone medio orientali del mondo. Questo non è un caso, perché i bulbi di tulipano arrivarono in Europa dalla Persia nel 1554. Si diffusero in particolare in Olanda e ancora oggi i tulipani sono un vero e proprio simbolo dei Paesi Bassi. il 1 maggio in Olanda c’è proprio la festa dedicata a questo fiore.

I tulipani però erano però, inizialmente, molto costosi e per questo erano considerati un bene di lusso quasi come i diamanti. Nel Seicento, i bulbi dei tulipani, per quanto erano ritenuti preziosi, potevano anche essere scambiati con terreni e bestiame.
Con il passare degli anni venne aumentata la produzione e si favorirono anche degli innesti, si fecero tante sperimentazioni che consentirono di produrre fiori di molti colori, tutti diversi e nuovi. I più richiesti erano quelli striati che si ottenevano
iniettando nel bulbo un virus, pensate un po’
. Finalmente questo bel fiore stava pian piano diventando accessibile a tutti. Oggi in Olanda ci sono tantissime zone in cui possiamo incontrare grandi coltivazioni di tulipani, da visitare a piedi o in bicicletta, come fanno i locali.

Ma nel linguaggio dei fiori, cosa rappresenta il tulipano? Ho letto che alla donna amata si usa regalare la rosa in diverse zone del mondo, ma non tutti sanno che è invece il tulipano il simbolo dell’amore oltre la morte. Se la rosa è l’amore terreno, il tulipano rappresenta una dimensione più alta: quella dei sentimenti più nobili, dell’amore che tende all’infinito.
Al riguardo, esistono alcune leggende, la più famosa è iraniana, e racconta la morte di Shirin, una bellissima giovane innamorata di Farhad, partito in cerca di fortuna che però non tornò mai più. Disperata, la fanciulla si mise alla ricerca dell’amato fino a quando, in preda allo sconforto più totale, cadde su alcune pietre aguzze e si fece male, così tanto che morì, in un mare di lacrime e di sangue. Proprio da quel sangue, in quel luogo, nacquero i primi tulipani. Rossi, ovviamente, perché rosso è il colore del sangue ma anche della passione e dell’amore.

Mi piace molto studiare la geografia anche attraverso simboli e tradizioni dei Paesi. Questa dei tulipani è stata una bella scoperta.

Articolo di Federico Vittori, classe 2A.

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Leoni e Draghi…oltre le Colonne d’Ercole

Le Colonne d’Ercole rappresentano un luogo di miti e leggende.
Secondo gli antichi Greci, le Colonne d’Ercole, che sarebbero i due promontori rocciosi che danno forma allo Stretto di Gibilterra, esistevano per indicare il limite oltre il quale non era più possibile andare, né tantomeno fare ritorno perché oltre quel limite c’era l’ignoto, e quindi il pericolo.

Oltre quel limite, oltre lo stretto, il Mar Mediterraneo si incontra con l’Oceano Atlantico, un mare tranquillo e “chiuso”, va a sfociare nell’impetuoso e “aperto” oceano: si capisce che questo poteva destabilizzare i popoli antichi, che non avevano le conoscenze che noi abbiamo oggi, soprattutto quelle relative alla geografia, al clima, alle scoperte geografiche e cartografiche.

Si credeva che le “colonne” fossero state posizionate da Ercole, per limitare i lati dello Stretto di Gibilterra, proprio per scoraggiare i viaggiatori più curiosi. Il mito racconta che l’eroe avrebbe dovuto superare ben 12 fatiche, non varcando mai, però, lo stretto.
Le fatiche sono:

  1. Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
  2. Uccidere l’immortale idra di Lerna;
  3. Catturare la cerna di Cerinea;
  4. Catturare il cinghiale di Erimanto;
  5. Ripulire le stalle di Augia;
  6. Disperdere gli uccelli del lago Stinfolo;
  7. Catturare il toro di Creta;
  8. Rubare le cavalle di Diomede;
  9. Impossessarsi della cintura di Ippolita;
  10. Rubare i buoi di Geriore;
  11. Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperiodi;
  12. Portare vivo il Cerbero a Creta;

L’eroe doveva espiare le sue colpe con queste prove perché aveva ucciso alcuni membri della sua famiglia. Si racconta che arrivò fino alle pendici dei monti Calpe e Abila, che erano proprio considerati i limiti estremi del mondo, e che decise di scindere il monte in due parti creando i promontori di cui parlavamo prima, simbolicamente le due colonne d’Ercole, e che vi impresse l’incisione con la scritta “non plus ultra”. Nell’immaginario della gente e degli studiosi si generavano tante ipotesi: Platone pensava per esempio che ci fosse la famosa isola di Atlantide, Dante Alighieri immaginava che ci fosse il Purgatorio, raggiungibile solo dopo cinque mesi di navigazione oltre le Colonne. Ma ci sarà Cristoforo Colombo, che proprio oltre le colonne cerca una rotta che lo porti alle Indie. 

C’è sempre qualcuno che non ha paura di superare i limiti, che risponde al richiamo della curiosità, che è molto più forte di quello della paura.

“Hic sunt leones”, qui ci sono i leoni, è un detto usato dai romani, e infatti è scritto in latino, che si riferiva alle zone pericolose e inesplorate dell’Africa. Qualcuno diceva anche “hic sunt dracones” (“qui si trovano i serpenti”) o “hic nascuntur elephantes” (“qui nascono gli elefanti”) . Servivano a fare paura, a cercare di non incoraggiare a oltrepassare determinati limiti. Mi sono chiesto se non servissero per comandare e controllare. Però, per fortuna c’è stato nella Storia qualcuno che non ha avuto paura di combattere i leoni e i dragoni!

Articolo di Federico Tesone, classe 2A

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Il cammino di Santiago: tra storia, geografia, religione, simbologia e…sostenibilità

Un giorno, mentre guardavo distrattamente un documentario, sono rimasto colpito da un luogo, se luogo davvero lo si può definire. Poi ne abbiamo parlato a scuola nell’ora di geografia e mi sono incuriosito ancora di più. Sto parlando del Cammino di Santiago, uno dei pellegrinaggi più famosi del mondo. Quale posto migliore per parlarne, se non il nostro blog che approfondisce storie di cammini, di popoli, culture diverse e sostenibilità?

Dunque vi spiego bene: questo cammino è un percorso composto da una serie di itinerari che, partendo da luoghi diversi della Spagna, del Portogallo e della Francia, consentono di arrivare a Compostela, città spagnola, dove i pellegrini ottengono il perdono dei peccati o comunque, se non sono religiosi, terminano il loro cammino in un posto bellissimo e storicamente importante. È una esperienza unica ed emozionante, da fare da soli o in gruppo, a piedi o in bici: camminare vuol dire sempre ritrovare se stessi e sfidare i propri limiti fisici e psicologici, entrando in contatto con la propria spiritualità. Una fortuna, Lo dovremmo fare tutti più spesso. E poi è un’attività sostenibile, non inquina, fa bene alla natura, alle gambe, ai polmoni e al cuore. E poi questo cammino ripercorre luoghi della storia, quindi unisce a tutto ciò anche la bellezza di conoscere qualcosa in più del nostro passato. Mi piace questa idea del turismo sostenibile!

Lo scopo di questo cammino è raggiungere la Cattedrale di Santiago de Compostela per venerare le reliquie dell’apostolo San Giacomo, Santiago appunto. Ogni anno a questo pellegrinaggio partecipano circa 300 mila persone provenienti da tutto il mondo. Mi sono posto tante domande sul perché ogni anno tutta questa gente avesse sentito il bisogno di fare questo viaggio ed ho scoperto che i primi pellegrinaggi risalgono al XI secolo, quando vennero scoperti qui i resti della salma di Santiago. Secondo la leggenda, San Giacomo fu uno dei dodici apostoli di Gesù e, dopo la morte del Messia, si adoperò per un’opera di evangelizzazione nei territori della Spagna ma venne ucciso pochi anni dopo al suo rientro in Palestina, mentre il suo corpo fu sepolto in Galizia. Il cammino di Santiago viene riconosciuto soltanto nel 1492 da Papa Alessandro VI.

Il cammino si divide in tre sezioni principali: il cammino francese, il tratto nel nord della Spagna e quello portoghese. L’importante è percorrere almeno 100 Km del Cammino di Santiago (sugli 800circa totali) per ottenere la Compostela. Il pellegrinaggio è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1993. Non esiste un unico simbolo del Cammino di Santiago, ma veramente tanti, anche se i più comuni sono la croce del cammino, la conchiglia e la freccia gialla.

Uno dei simboli indiscussi è la freccia gialla,flecha amarilla, dipinta con un pennello ovunque, su strade o alberi, insomma dove capita. Nasce nel 1984 grazie a un sacerdote che in questo modo riuscì a indicare l’itinerario ai pellegrini del tratto francese. Poi c’è la conchiglia di San Giacomo o vieira, mollusco di cui sono ricche le coste della Galizia e che i pellegrini portavano via come premio ed era veramente una prova che avessero concluso davvero il cammino, visto che la vendita di queste conchiglie era consentita solo a Santiago de Compostela. Infine, in parallelo all’altra grande meta della cristianità, Gerusalemme, che ha la croce Leonina, anche al Cammino di Santiago è stata associata una croce particolare, la Cruz de Santiago, che rappresenta una spada con un’elsa “a giglio” e che è di solito dipinta in rosso.

Tante bellissime curiosità e una storia lunghissima che si intreccia alla religione. E alla geografia: cammini, confini superati, Paesi attraversati, incontro con gli altri pellegrini. Che bello tutto questo!

Dopo aver fatto questa ricerca credo e sono convinto che questo pellegrinaggio sia una esperienza da provare perché sono sicuro che le emozioni che si provano sia a livello fisico che mentale sono uniche e irripetibili. Quando sarò più grande mi riprometto di farlo e di poter condividere e confermare che ne è valsa la pena.

Articolo di Michele Conti, classe 2 A