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Confini Immaginari

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Revolutionary road – la strada della gentilezza

Si chiama “Revolutionary road – la strada della gentilezza” l’opera finita, così come l’intero progetto da cui nasce, cominciato lo scorso anno e proseguito in questo, avente come tema il contrasto e la prevenzione ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo. La classe 3^B, in rappresentanza di tutto l’Istituto Tecnico Economico per il Turismo “A. Argoli” di Tagliacozzo, ha realizzato un murale insieme allo Street Artist Andrea Parente, in arte Alleg, per concludere nel modo migliore e più originale possibile il percorso sopracitato, portato avanti dalla nostra Referente d’Istituto per il bullismo e cyberbullismo, la professoressa Antonella Finucci. Una splendida opera di street art, dunque, che ha lo scopo di comunicare messaggi la cui importanza, talvolta, viene minimizzata.

Sentirsi soli, incompresi, aver paura, non capire il valore dell’autostima: tutto questo è quel che noi ragazzi abbiamo voluto racchiudere nei nostri bozzetti, realizzati in classe durante alcune ore di brainstorming con l’artista e la prof, diventati poi un capolavoro artistico tutto da ammirare. Grazie al talento di Alleg, che ha saputo dare la sua cifra distintiva al murale e un’organicità complessiva, all’idea e all’energia della prof, nonché alla sua immensa fiducia in noi studenti, grazie all’appoggio e al supporto gentile e sorridente della Dirigente Scolastica Clementina Cervale e alla straordinaria forza di volontà ed energia di noi alunni che abbiamo davvero messo mente, intelligenza, cuore e braccia in questa iniziativa, ancora una volta il nostro istituto lancia un messaggio toccante, uno di quelli che certamente non lascia indifferenti: impariamo a stare bene con noi stessi e scomparirà ogni tipo di violenza.

Questo è il nostro messaggio e ve lo lasciamo in immagini: l’arte di strada è impattante, colorata, libera e di tutti. Ci piacerebbe che ogni passante si chiedesse il significato di quei disegni, e ne comprendesse il senso più profondo. Ci piacerebbe che ognuno di voi possa percorrere la nostra “strada della gentilezza”.

Le facce che esprimono la nostra interiorità: il sorriso indica la serenità di quando si impara a voler bene a se stessi.
Le facce della collettività contrapposte ai tentacoli di Medusa (non si vede in foto) della massa: collettività VS massa, per riflettere su quanto la comunità possa insegnare il modo giusto e bello di stare insieme, condividendo. Senza essere massa.
La rosa che nasce da una spada che a sua volta riesce a bucare lo scudo delle nostre corazze. Solo allora sbocceranno fiori dalle nostre anime.
Imbiancare il muro prima di creare.
L’autostima allo specchio. Non va bene se è troppa, non va bene se è poca. Ma se si raggiunge l’equilibrio, beh, quella è la chiave di tutto.

Due facciate si contrappongono, il sole e la luna si guardano: da un lato la notte, e le parole difficili, da un lato il giorno e le parole belle, da perseguire. I disegni emergono colorati e brillanti dal nero del fondo. Ve ne raccontiamo qualcuno.
➢ SOLITUDINE: chi è vittima di bullismo molte volte può ritrovarsi da solo, senza un appoggio. Chi è bullo spesso molte volte può ritrovarsi da solo, senza un appoggio. Dunque, imparare a stare bene con se stessi, anche da soli, è il primo passo per non cadere nelle trappole del bullismo;
➢ PAURA: una luce che illumina un viso genera un riflesso gigante e sta a significare che la paura ingigantisce le situazioni, quindi bisogna cercare di essere razionali;
➢ APPARENZA: non sempre ci si mostra per come si sta realmente;
➢ CAMPANILISMO: a causa di un attaccamento esagerato alla propria città o al proprio paese, o Paese, a volte si finisce per compiere atti di bullismo escludendo chi ha diversa provenienza;
➢ INCLUSIONE: due mani che si stringono raccontano che insieme è tutto più bello:
➢ INTERIORITÀ: un viso che sorride circondato da altri volti che non hanno la bocca sta a significare la bellezza di sapersi ascoltare, di dare voce alla propria interiorità, perché è che ciò che davvero ci farà sorridere nella vita;
➢ AUTOSTIMA: uno specchio e un viso che si guarda in maniera oggettiva, senza abbattersi ma senza nemmeno darsi arie;
➢ COLLETTIVITÀ VS MASSA: la collettività è il modo corretto di stare insieme, la massa fa solo uniformare e rende tutti uguali.

Vi lasciamo giusto qualche foto della realizzazione, l’opera finita aspetta di essere vista di persona, a Tagliacozzo, lungo il sottopassaggio che collega la città da una parte all’altra, dalla scuola fino alla stazione degli autobus. Le vernici utilizzate sono ecocompatibili, a base d’acqua, perché vogliamo salvaguardare il nostro territorio. Buona passeggiata attraverso la strada della gentilezza, credeteci, è la più rivoluzionaria di tutte.

Davide, Sara, Sofia A., Isabella, Giada, Francesca C., Simone, Vincenzo, Giulia, Sofia M., Kevin, Alessandra, Alessio, Savana, Lorenzo, Renis, Francesca T..

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La vera domanda.

E buon 2023.

La guerra esiste da un bel po’ di millenni, è senz’altro vero, ma la nostra generazione continuerà davvero a portarla avanti? Questa è la vera domanda.
Forse l’unica da farci davvero.

Il 2022 è cominciato con una guerra a due passi da casa nostra, e ci ha sconvolti tutti. Ma davvero, dopo tutti i secoli di storia, dopo tutte le battaglie e le conquiste di diritti e di saperi, ancora vogliamo risolvere le controversie con la guerra? Ancora c’è chi ammazzerebbe un altro uomo?
La Costituzione Italiana, bellissima e nata proprio dopo le sofferenze di una guerra, ci dice nell’art 11 che l’Italia ripudia la guerra. E secondo me la nostra generazione terrà fede a questo principio. La generazione Z, tanto infamata, sempre definita senza un cuore e attirata solamente dai cellulari…è triste tutto ciò.
Vorrei far notare che noi siamo grandi sostenitori della piena pace, senza mezzi termini e mezze paci (trucchetto furbo della mezza pace, col quale altre generazioni poi usano la guerra), e che il cellulare spesso lo usiamo per informarci: questa guerra, così come le altre sul suolo mondiale oggi, è del secolo scorso, non ci appartiene, noi siamo diversi.

Noi pensiamo che la diplomazia e il dialogo siano le armi della politica e della geopolitica, non le bombe.

Noi abbiamo capito la bellezza della condivisione e la ricchezza della diversità: abbiamo amici che vengono da ogni parte del mondo e il razzismo non sappiamo più nemmeno cosa sia.

Noi davvero non lo capiamo come si possa ancora pensare di fare la guerra. Mi chiedo e vi chiedo, ma alla fine non sono tutti dei perdenti? E non sono tutti più poveri dopo una guerra? E soprattutto, non è più povero il pensiero di tutti dopo una guerra??? Vi prego pensateci e siate onesti nel rispondere, pensate ai passi indietro che si fanno con una guerra.

E ancora, perché si deve pensare di essere autorizzati in qualche modo a sottrarre la vita a qualcuno, magari anche a bambini innocenti? In nome di cosa? Di un confine? E il confine non può definirsi intorno a un tavolo? O ancora dobbiamo avere una mentalità ottocentesca di risolvere le questioni? “Imagine there’s no countries,it isn’t hard to do, nothing to kill or die for” , belle queste parole, le conoscete perché sono della vostra generazione. Perché le rendete vuote allora? Facciamole nostre davvero!

Cari signori della guerra, mi spiace per voi, il mondo è un altro, alla domanda iniziale noi rispondiamo così. La prof di storia una volta ci ha detto che il libro di storia potrebbe anche chiamarsi libro di “Storia dell’evoluzione del pensiero e della civiltà”. E pensandoci è una cosa vera: le cose vanno molto meglio del passato, ma saremo davvero evoluti quando elimineremo le guerre, quando leggendo un libro di storia diremo: ma come è stato possibile che gli umani abbiano fatto questo?

E allora, siccome mi piace pensare che ogni anno che passa sia un gradino in più da salire nella scala della civiltà, spero vivamente che tutto questo finisca un giorno, un giorno molto vicino, e spero che il 2023 ci porti la pace piena.

Giulia Laurini, classe II A (Istituto Argoli, primo grado)

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La propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro

Allan David Bloom disse “La mancanza di lettura di buoni libri indebolisce la visione e rafforza la nostra tendenza più fatale: il convincimento che il qui ed ora sia tutto quello che c’è”.

Riflessioni a partire dall’articolo di Tim Parks, Sì. viaggiare (con libri e scrittori).

Nel corso della nostra vita ci capita spesso di voler evadere dalla realtà e dai nostri
problemi e sicuramente l’opzione più piacevole è quella di viaggiare, non sempre con amici, bisogna saper anche stare bene da soli per staccare un po’ la presa da tutto ciò che ci circonda.
Ma non sempre è possibile e non è questo l’unico modo per essere spensierati, tra i più comuni abbiamo: ascoltare la musica o leggere un libro, allora perché non unire le due cose? Perché non viaggiare mentre si legge o magari mentre si scrive un libro? O perché non scrivere un libro di viaggio? Leggere un buon libro può aiutare a non pensare alle cose brutte? Sicuramente sì, proprio perché può liberare la mente e può far schiarire le idee.

Come dice l’articolo di Tim Parks, “Sì. viaggiare (con libri e scrittori)”, mescolandosi con gli stranieri, con gli sconosciuti, il viaggiatore acquisirà una maggiore consapevolezza di sé; ed è vero perché viaggiando andiamo a conoscere nuove
culture, nuove tradizioni, nuovi pensieri e nuovi modi di vedere la vita; il viaggio è in fondo un incontro con una realtà diversa dalla nostra.

E allora se esiste un’affinità tra libri e mezzi di trasporto, tra viaggio e lettertura, ci sono musicisti, scrittori o poeti che hanno trattato questa tematica? Uno scrittore lo conosciamo tutti, sì, esatto, proprio lui, Dante Alighieri. Dante durante gli anni del suo esilio, dopo essere stato accusato di baratteria, scrive le sue opere più famose, tra le quali troviamo naturalmente la Divina Commedia. Quest’ultima tratta appunto del viaggio che compie Dante nell’oltretomba attraversando Inferno, Purgatorio e Paradiso. In ognuna è accompagnato da qualcuno: prima da Virgilio, poi per un breve tratto da Beatrice, la donna amata che per lui rappresentava una donna angelo, salvifica, e infine da San Bernardo, che intercederà per lui presso Maria e lo porterà a contemplare Dio. Dante viaggia quindi in un mondo ultraterreno dove incontra personaggi importanti, anche le anime dei dannati oltre alle sue guide, e da ognuno impara qualcosa e trae un insegnamento.

O ancora, possiamo far riferimento a Marco Polo, in quanto la sua opera “Il Milione” è il primo reportage di viaggio, contenente anche descrizioni di popoli e le loro, relative, diverse usanze. Lo stupore del mercante di fronte all’Oriente è uno dei racconti più entusiasmanti di quello che è il “diverso”. E ancora, come disse Henry David Thoreau: “Quanti uomini hanno datato l’inizio della loro vita dalla
lettura di un libro”; o ancora come dice Baricco: “Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro?”

E tornando all’articolo, fu proprio leggendo in treno che Anna Karenina capì di voler cambiare vita. Perché il viaggio stimola riflessione. Questo perché non sempre tutto quello che ci accade va come vorremmo, perciò leggere è anche un modo di immedesimazione; un libro riesce a conquistare il tuo interesse solo se leggendolo riuscirai ad immedesimarti in esso, identificandoti con i personaggi ed immaginandoti lo scenario rappresentato nella storia. Non tutti i racconti possono piacere, ma penso che quelli di viaggio siano tra i migliori in quanto ti portano alla consapevolezza di ciò che c’è nel mondo al di fuori di noi e ti invogliano a vivere nuove esperienze o ad incontrare nuove persone con usanze diverse dalle nostre.
Allan David Bloom disse “La mancanza di lettura di buoni libri indebolisce la visione e rafforza la nostra tendenza più fatale: il convincimento che il qui ed ora sia tutto quello che c’è”. Ed è vero, dovremmo imparare ad andare oltre, guardare più in là del nostro essere. Come disse Francis de Croisset “La lettura è il viaggio di chi non può prendere un treno”.

Sofia Marini, IIIB

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Non è vivere, ma vivere bene

E allora è nostro dovere non tralasciare i piccoli particolari che ci permettono di guardare le cose con una prospettiva differente.

Riflessioni a partire dall’articolo di Tim Parks, Sì. viaggiare (con libri e scrittori).

“Il tempo per leggere, così come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere”.
Questa citazione, tratta da un’opera di Daniel Pennac, riassume in poche parole
quello che dovrebbe essere il nostro modus vivendi quotidiano. Amare e leggere dilatano il tempo della nostra vita e la vita, infatti rappresenta una splendida occasione, la nostra splendida occasione, per vivere nuove esperienze, facendo della scoperta e della curiosità i motori per menti e animi coraggiosi.

Molto spesso, si tende a considerare il libro come qualcosa di noioso od opprimente, inutile in una società in cui sempre più spesso dominano la velocità e la frenesia. Molti di noi non sono consapevoli di ciò che un’opera letteraria può regalarci, un po’ per ignoranza e, a volte, anche per indifferenza. Un buon libro, considerati i gusti ed i generi prediletti da ognuno, può rappresentare un’esperienza di crescita unica, dal punto di vista non soltanto culturale, ma anche pedagogico e sociale. Leggendo, infatti, entriamo in contatto con mondi paralleli, talvolta anche fantastici, dai quali certamente possiamo ricavare insegnamenti morali di estrema importanza. Si compiono dei veri e propri viaggi grazie alla lettura; potremmo dire che è
proprio grazie a quest’ultima se viviamo emozioni che, in alternativa, solo i veri
spostamenti potrebbero offrire, facendo un’analisi pragmatica e oculata.

E allora oggigiorno, in un mondo che mira sempre più al progresso, allo sviluppo e alla risoluzione di problematiche ritenute di vitale importanza dai grandi magnati
della Terra, è nostro dovere non tralasciare i piccoli particolari che ci appaiono come futili o superficiali, ma che in realtà ci permettono di guardare le cose con una prospettiva differente, più positiva, facendo la differenza. Tramite “strumenti” quali il viaggio (reale ma anche immaginario, grazie ai libri) abbiamo l’opportunità di evadere da una realtà che sentiamo troppo spesso non nostra, essendo essa povera di ideali e principi.

Varie indagini condotte su larga scala, oltretutto, dimostrano come sia migliore la “prospettiva di vita” di chi viaggia e legge molto. Tutti noi, nondimeno, dobbiamo cercare di avere una mentalità che sia il più aperta possibile. Solo quando la maggioranza acquisirà tale mentalità, sarà legittimo dire di aver raggiunto un progresso vero, interiore ma evidente, visibile a tutti, quando essa saprà dire con fermezza che “l’importante non è vivere ma vivere bene”, come diceva Socrate nei propri apologhi. È passato molto tempo, ne passerà molto altro ancora probabilmente, eppure continuo ad essere sempre più convinto della veridicità di tale affermazione, la quale resta e resterà indubbia e indiscussa, almeno per me.

Simone D’Ascenzi IIIB

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Leoni e Draghi…oltre le Colonne d’Ercole

Le Colonne d’Ercole rappresentano un luogo di miti e leggende.
Secondo gli antichi Greci, le Colonne d’Ercole, che sarebbero i due promontori rocciosi che danno forma allo Stretto di Gibilterra, esistevano per indicare il limite oltre il quale non era più possibile andare, né tantomeno fare ritorno perché oltre quel limite c’era l’ignoto, e quindi il pericolo.

Oltre quel limite, oltre lo stretto, il Mar Mediterraneo si incontra con l’Oceano Atlantico, un mare tranquillo e “chiuso”, va a sfociare nell’impetuoso e “aperto” oceano: si capisce che questo poteva destabilizzare i popoli antichi, che non avevano le conoscenze che noi abbiamo oggi, soprattutto quelle relative alla geografia, al clima, alle scoperte geografiche e cartografiche.

Si credeva che le “colonne” fossero state posizionate da Ercole, per limitare i lati dello Stretto di Gibilterra, proprio per scoraggiare i viaggiatori più curiosi. Il mito racconta che l’eroe avrebbe dovuto superare ben 12 fatiche, non varcando mai, però, lo stretto.
Le fatiche sono:

  1. Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
  2. Uccidere l’immortale idra di Lerna;
  3. Catturare la cerna di Cerinea;
  4. Catturare il cinghiale di Erimanto;
  5. Ripulire le stalle di Augia;
  6. Disperdere gli uccelli del lago Stinfolo;
  7. Catturare il toro di Creta;
  8. Rubare le cavalle di Diomede;
  9. Impossessarsi della cintura di Ippolita;
  10. Rubare i buoi di Geriore;
  11. Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperiodi;
  12. Portare vivo il Cerbero a Creta;

L’eroe doveva espiare le sue colpe con queste prove perché aveva ucciso alcuni membri della sua famiglia. Si racconta che arrivò fino alle pendici dei monti Calpe e Abila, che erano proprio considerati i limiti estremi del mondo, e che decise di scindere il monte in due parti creando i promontori di cui parlavamo prima, simbolicamente le due colonne d’Ercole, e che vi impresse l’incisione con la scritta “non plus ultra”. Nell’immaginario della gente e degli studiosi si generavano tante ipotesi: Platone pensava per esempio che ci fosse la famosa isola di Atlantide, Dante Alighieri immaginava che ci fosse il Purgatorio, raggiungibile solo dopo cinque mesi di navigazione oltre le Colonne. Ma ci sarà Cristoforo Colombo, che proprio oltre le colonne cerca una rotta che lo porti alle Indie. 

C’è sempre qualcuno che non ha paura di superare i limiti, che risponde al richiamo della curiosità, che è molto più forte di quello della paura.

“Hic sunt leones”, qui ci sono i leoni, è un detto usato dai romani, e infatti è scritto in latino, che si riferiva alle zone pericolose e inesplorate dell’Africa. Qualcuno diceva anche “hic sunt dracones” (“qui si trovano i serpenti”) o “hic nascuntur elephantes” (“qui nascono gli elefanti”) . Servivano a fare paura, a cercare di non incoraggiare a oltrepassare determinati limiti. Mi sono chiesto se non servissero per comandare e controllare. Però, per fortuna c’è stato nella Storia qualcuno che non ha avuto paura di combattere i leoni e i dragoni!

Articolo di Federico Tesone, classe 2A

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Il cammino di Santiago: tra storia, geografia, religione, simbologia e…sostenibilità

Un giorno, mentre guardavo distrattamente un documentario, sono rimasto colpito da un luogo, se luogo davvero lo si può definire. Poi ne abbiamo parlato a scuola nell’ora di geografia e mi sono incuriosito ancora di più. Sto parlando del Cammino di Santiago, uno dei pellegrinaggi più famosi del mondo. Quale posto migliore per parlarne, se non il nostro blog che approfondisce storie di cammini, di popoli, culture diverse e sostenibilità?

Dunque vi spiego bene: questo cammino è un percorso composto da una serie di itinerari che, partendo da luoghi diversi della Spagna, del Portogallo e della Francia, consentono di arrivare a Compostela, città spagnola, dove i pellegrini ottengono il perdono dei peccati o comunque, se non sono religiosi, terminano il loro cammino in un posto bellissimo e storicamente importante. È una esperienza unica ed emozionante, da fare da soli o in gruppo, a piedi o in bici: camminare vuol dire sempre ritrovare se stessi e sfidare i propri limiti fisici e psicologici, entrando in contatto con la propria spiritualità. Una fortuna, Lo dovremmo fare tutti più spesso. E poi è un’attività sostenibile, non inquina, fa bene alla natura, alle gambe, ai polmoni e al cuore. E poi questo cammino ripercorre luoghi della storia, quindi unisce a tutto ciò anche la bellezza di conoscere qualcosa in più del nostro passato. Mi piace questa idea del turismo sostenibile!

Lo scopo di questo cammino è raggiungere la Cattedrale di Santiago de Compostela per venerare le reliquie dell’apostolo San Giacomo, Santiago appunto. Ogni anno a questo pellegrinaggio partecipano circa 300 mila persone provenienti da tutto il mondo. Mi sono posto tante domande sul perché ogni anno tutta questa gente avesse sentito il bisogno di fare questo viaggio ed ho scoperto che i primi pellegrinaggi risalgono al XI secolo, quando vennero scoperti qui i resti della salma di Santiago. Secondo la leggenda, San Giacomo fu uno dei dodici apostoli di Gesù e, dopo la morte del Messia, si adoperò per un’opera di evangelizzazione nei territori della Spagna ma venne ucciso pochi anni dopo al suo rientro in Palestina, mentre il suo corpo fu sepolto in Galizia. Il cammino di Santiago viene riconosciuto soltanto nel 1492 da Papa Alessandro VI.

Il cammino si divide in tre sezioni principali: il cammino francese, il tratto nel nord della Spagna e quello portoghese. L’importante è percorrere almeno 100 Km del Cammino di Santiago (sugli 800circa totali) per ottenere la Compostela. Il pellegrinaggio è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1993. Non esiste un unico simbolo del Cammino di Santiago, ma veramente tanti, anche se i più comuni sono la croce del cammino, la conchiglia e la freccia gialla.

Uno dei simboli indiscussi è la freccia gialla,flecha amarilla, dipinta con un pennello ovunque, su strade o alberi, insomma dove capita. Nasce nel 1984 grazie a un sacerdote che in questo modo riuscì a indicare l’itinerario ai pellegrini del tratto francese. Poi c’è la conchiglia di San Giacomo o vieira, mollusco di cui sono ricche le coste della Galizia e che i pellegrini portavano via come premio ed era veramente una prova che avessero concluso davvero il cammino, visto che la vendita di queste conchiglie era consentita solo a Santiago de Compostela. Infine, in parallelo all’altra grande meta della cristianità, Gerusalemme, che ha la croce Leonina, anche al Cammino di Santiago è stata associata una croce particolare, la Cruz de Santiago, che rappresenta una spada con un’elsa “a giglio” e che è di solito dipinta in rosso.

Tante bellissime curiosità e una storia lunghissima che si intreccia alla religione. E alla geografia: cammini, confini superati, Paesi attraversati, incontro con gli altri pellegrini. Che bello tutto questo!

Dopo aver fatto questa ricerca credo e sono convinto che questo pellegrinaggio sia una esperienza da provare perché sono sicuro che le emozioni che si provano sia a livello fisico che mentale sono uniche e irripetibili. Quando sarò più grande mi riprometto di farlo e di poter condividere e confermare che ne è valsa la pena.

Articolo di Michele Conti, classe 2 A

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JUHANNUS – SOLSTIZIO D’ESTATE TRA KOKKO E FIORI DI CAMPO

Il solstizio d’estate per molti è il momento più bello dell’anno. In tutto il mondo si festeggia il ritorno della luce, dell’estate, delle giornate lunghissime, dei fiori, del sole.

Vedremo come il solstizio è festeggiato in diversi posto del Mondo. Cominciamo con la Finlandia. Juhannus è la tradizionale festa nazionale finlandese per celebrare il giorno più lungo dell’anno. Poiché segna l’inizio della stagione estiva, molti finlandesi vanno in vacanza simbolicamente proprio quel giorno o se non possono partire fanno piccole gite giornaliere. La fine di giugno è un periodo pieno di eventi, soprattutto perché qui il buio ormai scomparirà per tutta la stagione e si vedranno sempre più spesso i meravigliosi fenomeni del sole di mezzanotte.

Nelle regioni settentrionali della Lapponia Finlandese il Sole resta sopra l’orizzonte per più di 70 giorni consecutivi, sotto il Circolo polare, invece, tramonta ma solo per pochissimo tempo durante la notte e cmq non si può dire che diventi buio davvero.

Le tradizioni principali del solstizio d’estate sono legate ad alcuni elementi principali: sauna e bagno nelle acque pure finlandesi, fiori e fuochi accesi.

Fare la sauna e poi il bagno è simbolo di rigenerazioni in tutte le culture nordiche, oltre ad essere una importante pratica di benessere, soprattutto per la circolazione.
Secondo una credenza popolare, poi, se una giovane ragazza ripone sette fiori appena colti sotto il suo guanciale prima di addormentarsi il giorno del solstizio d’estate, riuscirà a sognare il suo futuro fidanzato.
E infine i falò, cioè i kokko. Di solito si accendono il giorno di San Giovanni (Juhannus appunto) per il solstizio d’estate, in zone controllate e sicure per bruciare gli spiriti maligni e purificare l’atmosfera.
Nei tempi passati il solstizio d’estate era considerato un momento magico, di passaggio, con varie tradizioni legate alla fertilità, all’abbondanza e all’amore. Non a caso molti matrimoni sono organizzati proprio in questo periodo, complici le temperature più favorevoli.

“uhannus è un momento di transizione fra due mondi, quello del buio e quello della luce e infatti, per attirare la buona sorte luminosa e gli spiriti amici i finlandesi amano divertirsi facendo rumore e bevendo molto, brindando alla vita che con l’estate torna a esplodere. 

Articolo di redazione della classe 2A

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Il ghiaccio e il fuoco

La terra del ghiaccio e del fuoco. L’Islanda è chiamata anche così, perché il suo territorio è davvero particolare dal momento che è ricoperta da vulcani e ghiacciai, soprattutto. Ma non solo. L’Islanda nasconde degli scenari naturali fantastici come bump, geyser, panorami sconfinati, scogliere e iceberg.

Viene definita “terra di ghiaccio”, Ice Land, perché per circa 13. 000 km2, un buon 10%, è ricoperta da ghiacciai. Può essere tuttavia chiamata anche “terra di fuoco” a causa dell’intensa attività dei suoi numerosissimi vulcani e dei fenomeni di vulcanesimo con cui si manifesta il calore racchiuso nelle sue viscere. L’Islanda è infatti un’isola vulcanica.
Tra l’altro un’eruzione nata da una fessura nel terreno sta portando alla nascita di un nuovo vulcano. Vedere e sentire la Terra che cambia, che si trasforma, ci fa sentire più vivi, emozionati di fronte al nostro pianeta che è sempre fonte di stupore

L’Islanda è una terra giovane (circa 20 milioni di anni) e ha una geologia che mi attira molto, infatti si trova proprio a cavallo della dorsale medio – atlantica.  Proprio una faglia vulcanica, tra l’altro, è quella che divide l’isola in due parti che si separano in continuazione ad una velocità di circa 2 centimetri l’anno. Le faglie dunque si allontanano tra loro.

L’Islanda quindi rappresenta la più ampia parte emergente della lunghissima dorsale medio-atlantica che è sommersa nell’Atlantico, ma attraverso la quale risale il magma dagli strati profondi della terra: qualche volta su questa dorsale qualche terra riesce a emergere e a formare delle isole, di natura vulcanica ovviamente proprio come è successo per l’Islanda, o le isole Azzorre.
Conseguenza dei fenomeni vulcanici è l’abbondanza di geysers e di sorgenti calde, che hanno un’ importanza economica notevole, come abbiamo studiato in geografia: l’energia geotermica qui è sfruttatissima.

I vulcani attivi sono confinati a nord del Vatnajokull, il ghiacciaio più grande dell’Islanda ma anche d’Europa. Possiede molte lingue di ghiaccio su ogni lato e ciascuna ha un nome. 8.100 Km² di ghiacci e iceberg, che ricoprono quasi il 10% della superficie dell’Islanda. Il Vatnajökull è il quarto ghiacciaio al mondo dopo la calotta glaciale dell’Antartide, la calotta glaciale della Groenlandia ed il Campo de Hielo Sur in Patagonia

Sotto la sua cappa di ghiaccio si trovano diversi  vulcani attivi: non è incredibile?

L’Islanda è un paese che mi affascina molto e che prima o poi vorrei
visitare
perché mi incuriosisce molto. Già dal nome mi fa pensare a una
specie di terra magica
: se penso al ghiaccio e poi al fuoco che sono
due elementi diversi, opposti, che in teoria dovrebbero annullarsi a vicenda e invece convivono benissimo, non vedo l’ora di andare a vedere di persona.

Dell’Islanda parleremo ancora, perché c’è tanto da dire. Ne abbiamo già parlato qui. Buona lettura!

Articolo di Federico Valentini, 2A

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Un sognatore che non si è mai arreso


Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso. 

Il 18 luglio si celebra Nelson Mandela International day, l’anniversario istituito dall’ONU nel 2009 per celebrare uno degli uomini più importanti del 900. Mandela nasceva proprio il 18 luglio, del 1918: è stato attivista e politico e fu attivo in Sudafrica, lottando durante tutta la sua vita contro la violenza, la segregazione razziale e perché che i neri potessero godere degli stessi diritti dei bianchi.

Mandela fece dell’uguaglianza e della libertà i suoi principi basilari: nel 1944 entra nella politica diventando membro dell’ANC (African National Congress) e guidando per anni campagne pacifiche tese alla parità dei diritti e all’uguaglianza tra i popoli. Aveva 30 anni quando l’apartheid divenne Legge dello stato in Sudafrica, era il 1948 e lui soffriva intensamente a pensare a quel che stava succedendo. Nel 1962 venne arrestato con l’accusa di sabotaggio e fu scarcerato solo 27 anni dopo. Fu un momento tanto buio della storia sudafricana, ma nonostante lui sia costretto al carcere, la sua immagine fa breccia sempre di più nell’opinione pubblica. Nel 1994 però è diventato il primo presidente della Repubblica del Sudafrica eletto democraticamente. Quello che mi ha sempre colpito in lui è la sua statura morale di fronte all’ “apartheid”, che nella lingua africana ha il significato letterale di “separazione”, per indicare appunto la divisione tra bianchi e neri.

Questa politica di discriminazione razziale venne regolamentata in apposite leggi nelle quali si stabiliva una netta distinzione della popolazione in tre gruppi razziali principali: bianco, nero africano e “coloured”, cioè appartenente ad una razza mista. Le relazioni interrazziali in questo modo erano del tutto impossibili: esistevano luoghi da frequentare separatamente, mezzi pubblici riservati solo ai bianchi, spiagge a cui i neri non potevano accedere, etc. Per fortuna, però, proprio grazie a Mandela, il Sudafrica gettò le prime basi per la democrazia.

Le leggi dell’apartheid discriminavano l’accesso al lavoro in base all’appartenenza razziale, vietavano i matrimoni tra persone di razze diverse, istituivano veri e propri “ghetti” (chiamati bautustan) in cui veniva relegata la popolazione nera, che in questo modo era sottoposta ad un forte controllo da parte del Governo.


La vita di Mandela è un modello di forza e coraggio: per questo viene considerato un emblema per le generazioni di tutti i tempi. Nelson Mandela terminò i suoi giorni il 15 dicembre 2013 lasciando un mondo migliore di come lo aveva trovato.

Articolo di Pietro Catalli

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Urbano VS Rurale

Il brano di Marcovaldo che abbiamo letto a scuola mi ha fatto riflettere sulle differenza tra la vita di campagna e quella di città. Credo che ognuno di noi almeno una volta nella vita si sia posto la domanda “dove è meglio vivere”. Al giorno d’oggi le persone che abbandonano la campagna per trasferirsi in città sono molte, è la tendenza degli ultimi decenni se ci pensiamo. Il primo motivo che spinge a spostarsi è il lavoro, perché la città come sappiamo offre più opportunità lavorative. Dipende anche dalla personalità di ognuno, dalle abitudini, dagli stili di vita ecc. La vita di città, ad ogni modo, ha vantaggi e svantaggi ed è molto diversa da quella di campagna che, allo stesso modo, ha pro e contro.

In città la vita non si può certo definire noiosa perché si ha la possibilità di fare tantissime cose, frequentare teatri, musei, bar di ogni genere, ristoranti, cinema, scuole, palestre, negozi, avere ospedali e studi medici vicino casa, mezzi di trasporto che permettono di spostarsi da un luogo ad un altro. Insomma qualsiasi cosa ci viene in mente è a nostra disposizione. Anche la vita sociale è diversa perché possiamo frequentare gli amici, studiare insieme, parlare e confrontarci a vicenda con estrema facilità e soprattutto confrontarsi con molta più gente, rispetto a un paese medio piccolo. Dietro tutto questo però ci sono anche molti svantaggi. Infatti in città non c’è tranquillità, silenzio e relax, come quelli che invece abbiamo in campagna: quella in città è una vita frenetica, ogni giorno dobbiamo tener conto del traffico, dei parcheggi che non si trovano facilmente e, non ultimo, dell’inquinamento. C’è troppo cemento e palazzi che non permettono di vedere i colori delle stagioni. A meno che non si è attentissimi osservatori come il nostro personaggio di Calvino.

In campagna invece le vite scorrono proprio in base alle stagioni, in maniera semplice, naturale, ciclica: la vita rurale ci offre aria pulita, ci si può immergere nella natura con estrema facilità, camminare tra gli altri, riscoprire noi stessi, sentire il rumore di un ruscello, il cinguettio degli uccelli e chi ama gli animali può tenerli senza che nessuno intorno si lamenti. La nostra salute è sicuramente migliore senza stress ed ansie e con un livello di inquinamento sicuramente inferiore. Anche la nostra alimentazione è diversa, troviamo facilmente prodotti bio a km 0 oppure abbiamo la possibilità di coltivare un nostro orticello, allevare il bestiame ecc. Anche la campagna però ha i suoi svantaggi. Purtroppo ci sono meno opportunità di lavoro, mancanza di servizi principali, soprattutto manca la vita sociale. Infatti spesso viviamo isolati e lontani dal mondo tecnologico, a volte ancora senza wifi in alcuni piccoli centri, specialmente dell’Italia interna, appenninica e non solo, e per spostarci è necessario avere una macchina o un qualsiasi mezzo di trasporto, altrimenti tutto è più difficile.
Io che abito in un paese di montagna sarei curioso almeno una volta di vivere un periodo in città, per potermi rendere conto delle differenze e delle difficoltà. Magari quando crescerò andrò a studiare fuori e lo sperimenterò. Ma allo stesso tempo, per ora, preferisco la campagna, perché trovo sia fondamentale vivere in natura. Secondo natura, anche.

Articolo di Paolo Lanno, classe 3C