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Contaminazioni

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Il Carsismo: di che parliamo?

Il carsismo è un fenomeno che si rileva nelle zone in cui sono presenti rocce calcaree. Infatti le rocce calcaree sono formate prevalentemente da carbonato di calcio, un composto chimico solubile in acqua e che si erode facilmente. Questo fenomeno si verifica quando l’acqua, leggermente acida (unita ad anidride carbonica presente nell’aria), “aggredisce” le rocce calcaree e le modella sia in superficie che in profondità (come avviene per i pozzi naturali) creando forme spettacolari che attraggono molti turisti.

Il termine carsismo deriva dalla regione del Carso triestino, perché è proprio qui che sono iniziati gli studi di questo fenomeno, un altopiano che occupa una buona parte del territorio della Venezia Giulia e della Slovenia.

L’attività chimica dell’acqua genera doline, inghiottitoi, paesaggi bellissimi. L’acqua piovana corrode le rocce calcaree in superficie, creando delle fessure e penetrando in profondità. Poi a un certo punto incontra uno strato di roccia impermeabile e, non potendo più scendere in profondità, l’acqua continua comunque a scavare nelle rocce calcaree, creando, con il passare del tempo, vere e proprie grotte carsiche.

IL CARSISMO HA TANTE FORME

Ci sono diversi tipi di forme carsiche, sia in superficie che nel sottosuolo.
Vediamo quelle in superficie:

I KARREN: sono dei solchi creati dall’erosione dell’acqua piovana in grandi distese di roccia calcarea.

LE DOLINE: sono delle depressioni del terreno a forma di imbuto. In alcune doline ci può essere un inghiottitoio che fa passare l’acqua piovana per raccoglierla nel sottosuolo. Quando ci sono due o più doline insieme, formano un’uvala.

Ora passiamo a quelle nel sottosuolo:

Le più comuni sono le GROTTE: possono essere piccole e inesplorabili, oppure grandi, facilmente accessibili.

I POZZI e LE GALLERIE: i pozzi si sviluppano in verticale, mentre le gallerie in orizzontale.

E LE STALATTITI E LE STALAGMITI?

Queste due forme carsiche sono frutto di un accumulo di carbonato di calcio contenuto nelle acque che attraversano ed erodono il terreno. Le stalattiti si formano dall’alto verso il basso e possono impiegare molti anni per formarsi. Le stalagmiti si formano invece, dal pavimento verso l’alto, in quei punti in cui le gocce di acqua cadono e depositano sottili veli di carbonato di calcio. E pian piano salgono e salgono. Quando stalattiti e stalagmiti si fondono, danno vita alle forme più spettacolari e strane!

Attraverso le spaccature delle rocce, l’acqua arriva nella grotta goccia a goccia. Alcune gocce, prima di cadere, evaporano e parte del bicarbonato di calcio si trasforma in carbonato di calcio, che va proprio ad aderire al soffitto della grotta. Si formano così, nel corso degli anni, delle colonne pendenti dette stalattiti. Se la goccia cade sul pavimento, l’evaporazione termina al suolo e, in corrispondenza delle stalattiti, si formano delle colonne ascendenti dette stalagmiti. Se stalattiti e stalagmiti si uniscono, quando sono molto alte o molto lunghe, formano vere e proprie colonne che vanno dal pavimento al soffitto.

Il carsismo è un fenomeno molto diffuso in tutta Europa, quindi naturalmente anche in Italia. Vediamo le zone più importanti:

  • la Grotta Gigante, proprio sull’altopiano del Carso;
  • le Grotte di Frasassi, nelle Marche;
  • la Grotta del Vento, in provincia di Lucca;
  • le Grotte di Pastena, nel Lazio;
  • le Grotte di Castellana, in Puglia.

Ma soprattutto lo troviamo anche e soprattutto nell’area del Parco Sirente Velino, in Abruzzo. L’inghiottitoio di Terranera, chiamato Pozzo Caldaio, ne è un esempio, ma anche la zona di Rocca di Cambio e le bellissime e famose Grotte di Stiffe. Anche il fenomeno dell’erosione fluviale crea paesaggi spettacolari, come si vede nelle Gole di Aielli Celano, lunghe circa 5 km e strettissime, e con pareti alte più di cento metri. Questo vero e proprio canyon è scavato dal torrente La Foce.

Nelle grotte carsiche troviamo persino vita animale: ragni e anfibi, ma anche crostacei. Un animaletto molto particolare è il proteo, un anfibio privo della vista, che vive esclusivamente nelle grotte.

Articolo di Alice Lucchini, classe 2A

Articoli Recenti, Attualità: come va il mondo, Confini Reali, Contaminazioni, Frontiere e confini, Geologia, Tra le placche

Rift Evolution


Il Sistema Di Rift Valleys Africane Secondo John Walter Gregory, 1920

Le rift valleys (sì, al plurale) sono delle grandi fratture della crosta terrestre all’interno delle masse continentali che si allargano e si allontanano pian piano, nel tempo, anticipando la formazione di un nuovo oceano tra di esse. In Africa, come mostra la cartina appena sopra, c’è un sistema complesso di rift valleys. Ma veniamo a noi. La Rift Valley, quella che tutti abbiamo sempre sentito nominare, è un’enorme frattura geologica che scorre lungo tutto il bordo orientale africano, dalla depressione della Dancalia fino al Sudafrica e continua fino alla Siria attraverso il Mar Rosso, lungo un asse che va dal mar Morto alla valle del fiume Giordano. Le crepe crostali si trovano in tutto il mondo, ma quella dell’Africa orientale è la più grande.  Questa rottura si è creata dalla separazione delle placche tettoniche africana e araba. La potremmo definire anche una spaccatura (nella crosta terrestre ovviamente) e dobbiamo sapere che si estende per circa 6000 km, che è larga da 30 a 100 km e che in alcuni punti raggiunge la profondità di 1200 metri.

Questo processo geologico è iniziato 35 milioni di anni fa e ha causato un forte cambiamento climatico e ambientale: la fine delle foreste rigogliose che coprivano quasi tutto il continente e la creazione, coi processi di orogenesi e la nascita di nuove catene montuose, di una barriera che si è opposta alla circolazione dell’aria umida proveniente dal mare che ha reso il clima più caldo e secco e l’ambiente più arido.

Il movimento che ha provocato la spaccatura 35 milioni di anni fa prosegue anche oggi, naturalmente, ed è destinato a separare il Corno d’Africa dal resto del continente. Tutta quest’area lungo la quale si snoda la Rift Valley è fortemente sismica e vulcanica. Sono infatti di origine vulcanica i monti Kilimangiaro e il Kenya, ma anche il monte Meru, l’Elgon e il vulcano Ol Doinyo Lengai, che è l’unico vulcano natrocarbonitico del mondo (cioè con presenza di carbonati). Si capisce subito che è un posto incredibile! Nella parte meridionale del Mar Rosso, poi, la Rift Valley si separa in due direzioni diverse, verso est e verso sud. La zona della diramazione è chiamata triangolo di Afar o depressione della Dancalia: siamo in Etiopia e questo è un posto che vi lascerà senza fiato. Vi facciamo vedere una foto che vale più di mille parole e che descrive perfettamente la spettacolarità di questo posto:

Dancalia

La Rift Valley, inoltre, è stata una grande fonte di scoperte paleoantropologiche: i sedimenti della valle, provenienti dall’erosione degli altopiani circostanti, crearono un ambiente favorevole alla preservazione dei resti umani. Sono infatti state trovate numerose ossa di ominidi, antenati degli umani, tra cui anche quelle della famosa “Lucy”, uno scheletro quasi completo di australopiteco.
Tutto il sistema di rift valleys africane rappresenta un ambiente unico per capire bene e studiare l’origine e l’evoluzione dell’uomo: questo posto è infatti considerato la culla dell’umanità, ossia il luogo in cui si è evoluta e diversificata la nostra specie negli ultimi milioni di anni.

Rift Evolution, allora, come dice il titolo, perché ci sono posti sulla terra che più di altri ci insegnano che è tutto è in evoluzione insieme a noi. E che dalle spaccature entra la luce, e l’evoluzione cos’è, se non luce?


There is a crack in everything, that’s how the light gets in. (L. Cohen)
Articolo di Michele Altieri, 3A

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Arcobaleni sulla terra: il Perù e i suoi colori

Per la sezione dedicata alle contaminazioni abbiamo pensato di farvi fare un salto in Perù: La Vinicunca è una montagna delle Ande alta più di 5.000 metri. La particolarità è che questa montagna è colorata, arcobaleno quindi. Come mai, vi starete sicuramente chiedendo.

Ve lo spieghiamo subito. Cliccate qui in basso sul PowerPoint per scoprire da dove vengono questi colori sgargianti!

Articolo e PowerPoint di Erika Galante

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GeostoriE: riflettiamo un po’

La Geografia è l’albero, il tronco dal quale si diramano le altre materie, perché senza un luogo fisico non ci sarebbero persone che comunicano e agiscono ogni giorno. È come la storia della Matematica che è onnipresente, ma anche la Matematica deriva dalla Geografia, perché senza nessun punto di riferimento nello spazio, cosa posso misurare? Storia e Geografia vanno a braccetto, perché senza un luogo fisico e degli elementi geografici, come fiumi, laghi, foreste, non si sarebbe nemmeno svolta l’evoluzione dell’uomo, a partire dall’età della pietra, non si sarebbe scoperto nulla, non si sarebbero combattute battaglie, guerre, invenzioni, rivolte e rivoluzioni. In un certo senso, le materie e le discipline derivano anche dalla Storia, perché le lingue (e anche i dialetti), le scoperte scientifiche, le religioni si sono sviluppate in un determinato periodo della Storia, in un punto nel corso del tempo.
La metafora dell’albero è la più adatta, credo, per spiegare questo concetto: la Geografia è il tronco dell’albero, e la Storia è rappresentata dai rami più grossi, dai quali si diramano altre materie.

Antonio Orsini

La storia e la geografia sono due materie connesse tra loro. Non esisterebbe la storia
senza la geografia e la geografia senza la storia. Ogni evento storico è sempre
collegato ad un luogo geografico.
La scoperta dell’America è un perfetto esempio di
relazione tra storia e geografia perché è stata una delle scoperte più importanti di sempre, scoperta di un luogo geografico che è entrata nella Storia ed è avvenuta in un preciso momento storico.

Angelica Di Rienzo

Alcuni umanisti affermano che la geografia serve per conoscere e memorizzare la
storia, per capire come si è insediata una civiltà, il modo di vivere dei suoi abitanti, le
tradizioni, il sistema politico adottato, bisogna relazionarsi con il territorio, con
l’ambiente geografico che lo circonda, con il suo paesaggio. Le due discipline per me
sono interconnesse, dipendenti l’una dall’altra.
Per quanto riguarda il caso specifico della campagna di Russia di Napoleone
Bonaparte
, quest’ultimo decise di invadere la città di Mosca con circa
tantissimi soldati di nazionalità diverse ma non conoscendo la conformazione geografica del territorio, partì forse un po’ sprovveduto i i Russi nel frattempo bruciarono tutti i terreni, rendendoli sterili. Così, quando i soldati di Napoleone raggiungono la nazione straniera, non sanno di cosa cibarsi e molti muoiono di stenti. Nel frattempo poi arriva l’inverno russo, durissimo, e i militari non avevano
l’abbigliamento adeguato per sopravvivere alle temperature rigide ed essendo già
indeboliti, molti muoiono per il freddo e per le abbondanti nevicate. Ciò dimostra quanto sia importante la conoscenza della geografia e del territorio.

Greta Mannella

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Laghi salati: la bellezza dei confini instabili

Studiando alcuni Paesi Europei mi sono lasciata affascinare da posti come il Mar Caspio. Lago o mare? Questo essere un elemento a metà mi ha intrigato sin dalla prima volta che ne ho sentito parlare. Mi ha fatto pensare ai confini che non esistono, non esistono suddivisioni nette nel mondo. La prof. poi ci ha detto che non era l’unico caso al mondo, e ci ha raccontato di laghi incredibili dalle acque rosse o di depressioni con una salinità altissima in cui affondare è impossibile, si può solo galleggiare. Non vi svelo di più. Vi dico solo che, incuriosita, ho fatto una ricerca e ho scoperto che mi innamoro ogni giorno di più del pianeta in cui vivo. Questo è il mio lavoro. Buona lettura.

Angelica Di Rienzo, II B

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Hoppeditz e le rose

Il termine “cultura” deriva dal latino “colere”, cioè “coltivare”. Rappresenta quindi anche un insieme di conoscenze e tradizioni di un popolo che vengono tramandate di generazione in generazione. Nella nostra rubrica andremo ad indagare proprio la cultura di Paesi a noi vicini o di Paesi più lontani, scegliendo punti di vista diversi. Perché crediamo che conoscere le diverse culture sia la chiave per capire il mondo di oggi. Le parole oltre le barriere, appunto, come ci ricorda il titolo della nostra rubrica: parliamo di cultura e di parole.

E oggi, non a caso, vi vorremmo parlare di una delle tradizioni che caratterizza profondamente le cultura di moltissimi paesi, il carnevale. Vi aspettavate il Brasile o Venezia? No, dovreste saperlo, non siamo così banali. E dunque andiamo a farci un giro in terra tedesca.

 Prima però ricordiamo che la Germania si trova nel Centro della nostra bella Europa e che la sua capitale è Berlino. Il nome Germania ha origine dai Romani e significa “Paese dei Germani”, mentre il nome Deutschland compare per la prima volta nella forma Dütiskland nella Kaiserkronik (componimento poetico) e vuol dire “Paese tedesco”. La Germania è la nazione più popolosa dell’Europa ed è tra le più ricche. Qui si parla il tedesco, una lingua indoeuropea ma che appartiene al ramo occidentale delle lingue germaniche. Questo vuol dire che è nata grazie all’influenza della tradizione di testi latini in volgare utilizzati per scopo religioso. Pensate un po’! Il latino infatti fu la lingua veicolare dei dotti europei del passato, un po’ come oggi l’inglese è la lingua base per tutti. Ancora oggi si possono facilmente rintracciare prestiti del latino nella lingua tedesca: Pflanze viene da plantam, pianta; oppure Fenster, da fenestra, finestra.  

Ricordiamo infatti che i Germani vennero in conttato con i Romani e da questo incontro-scontro nacquero i regni romano germanici. Vorremmo dirvi altro sulla parte storica, ma dobbiamo approfondire lingua e cultura in questa sede, quindi torniamo al nostro carnevale, il cui nome, secondo l’interpretazione più diffusa e accreditata viene proprio da latino, carnem levare, “eliminare la carne”, in riferimento al banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale prima della Quaresima, periodo di digiuno e ritiro spirituale. In alternativa la parola carnualia, “giochi campagnoli”, ha anch’essa un certo seguito. Di sicuro queste feste hanno origini molto antiche, ci fanno fare un salto indietro fino alle dionisiache greche o ai saturnali romani: in entrambi casi, durante queste feste, ci si lasciava andare alla dissolutezza e allo scherzo, bandendo ogni obbligo sociale spesso facilitati dall’uso di indossare una maschera.

Sulla maschera, reale e simbolica, potremmo dire moltissimo ma in questa sede ricordiamo soltanto che, grazie ai banchetti e alle feste del carnevale, il caos sostituiva momentaneamente l’ordine prestabilito, diventando così un momento di rinnovamento simbolico ma molto potente per tantissime culture, su tutto il pianeta.

Questa festa così affascinante, dunque, e piena di significati, è identificata, all’interno della regione tedesca, per tornare a noi, con nomi diversi e si festeggia anche in modi diversi a seconda della città in cui ci troviamo, infatti a Ovest si chiama “Karneval”, al Centro e al Sud “Fastnacht”, mentre in Baviera e in Austria prende il nome di “Fasching”. Ma in ogni caso le “città del carnevale” rimangono Düsseldrof, Kölin e Mains. Ad esempio, a Düsseldrof succede questo: la città rimane in stand by per tre giorni e poi l’apice della festa viene raggiunto il lunedì (rosenmontag, lunedì delle rose) quando chiudono tutti i negozi, uffici e fabbriche e arrivano tantissimi turisti, di solito un milione. L’atmosfera è bellissima! Verso mezzogiorno inizia un gran corteo con carri e maschere che dura per circa quattro ore. In questo lasso di tempo le persone bevono e si divertono, infatti in questi giorni si consuma molta birra, come succede spesso nelle feste tedesche e nordiche in generale. Il motto di questa festa è “Wo früher meine Leber war, ist heute eine Mini-Bar”, cioè “Dove una volta c’era il mio fegato, oggi c’è un mini-bar”. Il Carnevale di Düsseldorf ogni anno anima e colora la città, in particolare l’Altstadt – la “città vecchia”, ed è una festa imperdibile per i cittadini e per i turisti. Ovunque c’è musica, ovunque fiumi di gente ma i balli in costume sono la parte più bella e la maschera tipica è Hoppeditz, figura che simboleggia la pazzia: l’11 novembre (e cioè l’undicesimo giorno dell’undicesimo mese dell’anno, alle 11,11) la città viene consegnata a Hoppeditz e ai suoi amici mezzi matti, che rendono tutto bellissimo e magico.

Che dirvi, allora? Ovunque voi siate, buon carnevale!

Articolo di Ludovica Bruno e Maria Claudia Pio

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Il limite, qualche riflessione

Un limite è una protezione, ma se lo oltrepassi puoi cacciarti in un oceano di guai, ma anche in un oceano di fortuna, basta avere la curiosità, l’energia e la voglia di vivere.
Federico Curti IIC

Un limite è qualcosa che spesso l’uomo ha dovuto fronteggiare nella storia. Uno dei limiti più famosi di tutti i tempi è “l’ermo colle” della bellissima poesia L’Infinito di Leopardi. La “siepe che il guardo esclude” è proprio la descrizione di un limite, di un confine che l’autore stesso vuole sorpassare, perché il desiderio di sapere è proprio dell’uomo. L’Oceano anche spesso è stato un limite geografico, fino a quando non si è iniziato a solcare le sue onde per scoprire terre nuove. Quindi io penso che l’atteggiamento con il quale si affronta il concetto di limite possa fare la differenza.
Angelica Ianiro, IIC

Nella società di oggi si è sviluppata una forma di poco rispetto verso le persone considerate diverse. Il diverso nasce da un limite. Vero o immaginario. Il razzismo è per esempio un fenomeno irrazionale e ingiusto ma, ahimè, molto comune. Così come le discriminazioni verso i disabili. Bisognerebbe semplicemente far capire ad alcune persone che se mettono dei limiti troppo rigidi possono perdersi tante cose belle, per esempio gli incontri con le altre persone. Mi viene da pensare che “ognuno di noi è meravigliosamente unico e meravigliosamente diverso”. Sandro Penna diceva: “Felice chi è diverso, essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso, essendo egli comune”. Secondo me ha ragione!
Arianna Gasbarro, IIC

Superare una limite è come superare una paura e la paura è un ostacolo che ti assilla, che prima o poi devi affrontare. C’era un ragazzo di nome Jack, che aveva paura dell’altezza e di volare. Lui non andava mai a fare scampagnate, scalate o viaggi all’estero. Un giorno si convinse ad andare a fare una scalata con i suoi genitori, perché voleva superare a tutti i costi questo limite che si era imposto. Cominciarono quindi a salire, e lui si impose di non guardare mai indietro. Dopo tanta fatica arrivò alla prima tappa della scalata e nonostante tutto non riuscì a guardarsi dietro. Cominciò a salire per l’ultima tappa ed era proprio da lì che voleva guardare giù: dal punto più alto. Arrivò in cima senza fiato, sfinito, senza energie, ma si convinse a girarsi, anche se aveva tantissima paura. Aprì gli occhi e guardò giù: vide un panorama mozzafiato. Da quel giorno la scalata diventò il suo hobby preferito.
Valerio Lombardi, IIC

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Il mercante di luce

Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro”.

Un messaggio bellissimo quello che ho tratto da questo libro. Un testo che mi ha scavata dentro. Il mercante di luce è uno di quei libri emozionanti ed intriganti, da leggere tutto d’ un fiato. Narra fatti, favole, storie e poesie in solo una centinaia di pagine e racconta la storia di un ragazzo, Marco, e di suo padre, insegnante e appassionato di greco, Quondam. I due, insieme, si trovano a vivere tante emozioni diverse. Quondam divorzia con Miranda spiegando tutto in una lettera ed è in crisi per la malattia del figlio. Leggendo questo libro si percepisce un grande e profondo senso nelle parole e nella vita, anche quando sembra tutto perduto. Marco purtroppo soffre di progeria, una malattia genetica dovuta alla mutazione di un gene del DNA e questo purtroppo è indice di una vita molto breve. Ma l’aspetto peggiore è che Marco lo sa, la progeria non coinvolge le cellule celebrali, quindi, per tutti i suoi diciassette anni di vita sarà curioso, emotivo, consapevole, brillante ed intelligente. Quondam nonostante il dolore vuole dare a suo figlio la sua parte migliore, la cultura, e quindi nella brevissima vita di Marco, Stefano cerca di fargli vivere tutto il tempo di un’esistenza normale, raccontandogli di poeti ed eroi greci, cercando di sorpassare la paura con la forza della bellezza. Durante il racconto emergono moltissimi personaggi, tanti oggetti (come il taccuino di Marco e il pallone da calcio), mille storie greche, eventi significativi e un vortice di emozioni che partono dalla rabbia e dalla tristezza fino ad arrivare alla gioia e all’amore, il sentimento più complesso di tutti. Amore in senso lato.

“L’amore è ossessione; non designa un termine, non disegna un futuro, non esiste un progetto, un “faremo”, un “saremo”, e non esistono perché. Questa passione brilla di una luce così intensa , così insopportabile alla vista che non può durare più di un attimo, poi è solo il buio dell’attesa nella speranza di un altro evento simile…(pag 85)”  

Il vero protagonista del romanzo è proprio lui: l’Amore- L’amore per la letteratura greca, l’amore per Miranda –che resta amore anche se finisce, perché in fondo l’amore si trasforma ma non finisce mai-. O, ancora, l’amore di Marco per il calcio, l’amore di Quondam per il figlio e viceversa. Insomma, alla fine mi sono accorta che senza questo sentimento non sarebbe successo niente, che forse le nostre vite le muove l’amore. E che l’amore va oltre i confini, come le geostorie che qui raccontiamo, perché è fortissimo, perché non lo puoi chiudere in una stanza. E mi sono accorta che è l’amore a generare luce.

Marco è allora il mercante di luce perché è riuscito a insegnare a suo padre che esiste un senso che va oltre le apparenze, che è proprio dell’anima, degli uomini nobili. E che quel senso va cercato, alla fine dei giochi. C’è chi rischia di non trovarlo. Quondam lo trova grazie al figlio. Qualcuno forse l’amore ce lo deve spiegare. Con i fatti, però. Così da poterlo insegnare e trasmettere a nostra volta. E così Quondam, dopo un mese dalla morte del figlio, torna a lavorare: pur mantenendo dentro di sé il vuoto più grande del mondo, negli occhi, nella mente e nel cuore porterà per sempre “la luce” di Marco.

Recensione di Elia Buzzelli


Confini Immaginari, Contaminazioni, Fantascienza, Frontiere e confini, Tecnologia

Overdose tecnologica?

La relazione uomo-macchina, uomo-tecnologia è oggetto di studi e ricerche sempre più frequenti. La tecnologia e il progresso finora non hanno soppiantato la cultura tradizionale del libro, per esempio, o della parola in contrapposizione con la chat, o di un abbraccio reale contro quello virtuale… in futuro chissà? Noi pensiamo che le due facce della moneta dovrebbero continuare a coesistere e che il vero discorso sensato da fare sia qualcosa legato al concetto di Aristotele di “giusto mezzo”. Dovremmo imparare a farne un discorso di buon senso e di “buon uso”, senza arrivare a dipendenze tecnologiche, come nel caso dei videogiochi, per esempio, o sostituire completamente l’uomo con la fredda macchina, come nel caso del mondo del lavoro.

Ci domandiamo se davvero, ed entro quanto tempo, computer e robot sostituiranno le persone nel mondo del lavoro. Succerà sul serio? È un’ipotesi visionaria? Leggiamo molti articoli che annunciano un impatto fortissimo della tecnologia sul mercato del lavoro. Pare che, con tutta probabilità, entro la metà del 2020 i computer scriveranno saggi scientifici ed entro il 2040 produrranno dei bestseller. Addirittura, il giornale inglese The Economist ha creato un programma di intelligenza artificiale al fine di fargli scrivere articoli di giornale e dopo questo esperimento ha dichiarato al mondo: “The machines are coming”, le macchine stanno arrivando. Come porci di fronte a tutto ciò? Torniamo a parlare di limiti e confini, che sembra essere un tema chiave dei nostri anni, di questo secolo, della nostra quotidianità.  Ben venga una facilitazione del lavoro, ben venga il progresso che migliora la qualità della vita, ma a discapito di cosa? Le macchine faranno diminuire i già precari posti di lavoro?

Ci ha colpito una frase: “L’unico limite al progresso tecnologico è la nostra fantasia” di Andrea Benedetti. Ed effettivamente sembra che sia così. E a noi piace moltissimo questa sfida, questo modo dinamico e insieme “sognatore” di vedere il mondo, ma se tutto ciò avviene a discapito del senso di umanità forse non è del tutto corretto e ci piace un po’ meno. Abbiamo letto di recente che in California, in un ospedale, un robot ha annunciato la morte prossima a un paziente. Abbiamo riflettuto su questo ed altri episodi e la nostra conclusione è: prima di tutto l’uomo. Perché non vogliamo arrivare all’overdose tecnologica, di cui un altro aspetto è senz’altro l’abuso dei videogiochi, tema molto caro a noi ragazzi. Purtroppo non riuscendo a limitare il contatto con gli apparecchi elettronici abbiamo abusato di questi ultimi in maniera eccessiva, cosa che in futuro potrebbe portare a conseguenze nocive. Per evitare rischi di sindrome da dipendenza o da assuefazione è necessario un intervento informativo: fare informazione anche in questo caso diventa fondamentale, per far conoscere i rischi reali.

In questo modo ognuno di noi, consapevole dei vantaggi e degli svantaggi della tecnologia, avrà piena libertà di scelta e di pensiero, libertà che si troverà a fare conti con la capacità di controllo degli impulsi.

Articolo di Mattia Di Stadio, Alessandro Chiappini, Emanuele Gentile, Giovanni Fantone e Igor Catalli.

Confini Immaginari, Contaminazioni, Frontiere e confini, Tecnologia

Tra realtà aumentata e realtà virtuale: limiti e confini

AR (augmented reality) e VR (virtual reality) sono due tipologie di realtà parallele che, tramite tecnologia, sono in grado di alterare la nostra percezione del reale. Differiscono però nel senso di immersione che ci riescono a dare nella realtà parallela: nella AR è più superficiale, nella VR più profondo.

Approfondiamo un po’:
la realtà aumentata presenta delle variazioni realizzate al computer che immettono nel nostro mondo reale persone, animali o cose in grafica 3D. Un esempio vicino a noi è l’applicazione Pokemon Go: qui la realtà aumentata viene utilizzata per far apparire tramite telefono i pokemon nella vita reale. La realtà aumentata però non serve solo per giochi, ma viene usata anche in ambito lavorativo da molte industrie: ad esempio Lego utilizza questo tipo di realtà per evitare che i clienti più “curiosi” aprano le confezioni per scoprire cosa ci sia dentro, facendo comparire sullo schermo del telefono il suo contenuto. Un deterrente per i furti, dunque. Dunque, la realtà aumentata arricchisce la realtà con delle informazioni da sovrapporre a quelle reali. Le app di questo tipo utilizzano di solito la fotocamera del telefono per mostrare un’immagine di partenza di fronte all’utente, sulla quale vengono aggiunti dei livelli di informazioni, come testi e immagini. Oggi è usatissima nel settore ludico o militare, ma sono nell’aria anche novità nel settore medico e automobilistico.

Simile alla realtà aumentata è la realtà virtuale che però, attraverso l’uso di tecnologie informatiche, può creare un vero e proprio ambiente simulato. La realtà virtuale quindi pone l’utente all’interno di un’esperienza “totale” e “totalizzante”, nella quale invece di visualizzare uno schermo, il soggetto è completamente immerso in mondi virtuali in 3D ed è anche in grado di interagire con essi. Indossando degli appositi visori, potrete addirittura fare una passeggiata in montagna o esplorare grazie a dei tour virtuali aziende e hotel, case da comprare o città da visitare. Questa realtà solitamente viene accomunata ai videogiochi ma non è così, poiché viene usata anche in altri campi come ad esempio in campo medico per simulare degli interventi o anche in campo sportivo per allenare i riflessi.

Dunque la realtà aumentata arricchisce il nostro mondo reale con immagini 3D, mentre la realtà virtuale è un mondo completamente virtuale.

In alcuni utenti sono stati però riscontrati sintomi quali nausea e mal di testa, legati all’impiego -probabilmente eccessivo- di questo tipo di tecnologia. D’altra parte è stata anche evidenziata l’efficacia di queste tecnologie per la riabilitazione motoria, qualcuno dice anche per quella cognitiva. Purtroppo però, vista la novità di queste tecnologie, non esiste ancora uno studio scientifico approfondito che possa confermare o smentire. Noi siamo sicuramente attratti da tutto ciò, ma torniamo a parlare di limiti e confine, in quanto secondo noi un abuso di queste tecnologie ci potrebbe davvero far perdere il senso del reale, l’aderenza alla vita vera.

Articolo di Diego Antonelli, Andrea D’Achille, Igor Catalli, Giovanni Fantone e Gianluigi Liberatore