Quelli di frontiera e di confine due concetti tanto simili quanto lontani tra loro. Molto spesso questi termini vengono usati come sinonimi anche se non lo sono. Infatti per confine (cum-finis) si intende un limite, una separazione -per esempio tra Stati che si susseguono-. Basti pensare che gli Egiziani introdussero le prime forme di argimensura (misura planimetrica delle superfici agrarie) per delimitare i confini dei campi. Inoltre i confini sono i limiti di uno Stato stabiliti secondo accordi comuni a livello internazionale. Ci piace fare una distinzione bellissima tra confine reale e confine immaginario: il primo è riconducibile ad elementi naturali, per esempio all’orografia (le Alpi, nel caso dell’Italia) , all’idrografia (Mediterraneo, sempre in riferimento al caso italiano), mentre il confine immaginario ci catapulta verso un concetto molto più ampio ed impegnativo in quanto indica proprio un limite a livello etico-morale e mentale . Per esempio il razzismo. O, ancora, la diversità: chi decide cosa è diverso e da cosa? Chi stabilisce il limite di normalità? Concetti difficili. Ancora di più se pensiamo che il confine immaginario veniva (e in certi posti viene tutt’ora usato) come strumento per dominare il nostro pensiero controllandoci e non facendoci rendere conto dei fatti e della realtà attorno a noi.
Ben diverso è il significato di frontiera che, a seconda dei luoghi e dei tempi, assume un valore differente. La Treccani definisce così la frontiera: “per f. si intende una linea di confine, ufficialmente delimitata e riconosciuta fra due organismi politici e dotata talvolta di opportuni sistemi difensivi”. Un concetto politico, che però, a differenza de confine, racchiude nella sua etimologia l’idea di essere di fronte a qualcosa o qualcuno. Il fronte, come in gergo militare, è quindi il luogo dove forze contrapposte si scontrano.
Come ben sappiamo, però, le frontiere sono fatte anche per essere superate. Oggi come oggi, le frontiere non sono più intese solo come territorio di conflitto o cintese in genere. Sebbene esse sono la necessaria distinzione fra noi e gli altri, per esempio, o fra lo spazio fisico e quello interiore, le frontiere sono al contempo una serie infinita di domande : su noi stessi e su ciò che ci definisce. Anche perché se ci si contrappone ci si guarda allo stesso tempo negli occhi: sta a noi decidere se accogliere e ricambiare uno sguardo o se respingerlo.
Noi ci abbiamo riflettuto su tutto questo e troverete diversi articoli al riguardo. Buona lettura.
Come affermato dalle leggi della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, gli uomini sono tutti uguali, cioè hanno tutti gli stessi diritti, il diritto alla vita, alla salute, al rispetto, alla libertà di realizzarsi secondo i loro desideri, il diritto di esprimere le loro opinioni, di scegliere la loro religione. Essere uguali quindi, significa avere gli stessi diritti. Non significa però assomigliarsi, pensare, parlare, vestirsi, comportarsi tutti nello stesso modo, che sarebbe alquanto triste. La diversità è uno dei valori fondamentali del nostro secolo.
È colore, cultura, ricchezza, scambio, crescita, fa parte della storia di ogni uomo.“Diverso” può essere considerato lo straniero, il quale si differenzia da noi dal colore della pelle, dalla lingua parlata, dalle usanze e dai costumi.“Diverso” può essere colui che ha una mentalità dissimile dalla nostra, gusti visibilmente differenti nel modo di vestirsi e nel modo di fare le cose nella vita di tutti i giorni.“Diverso” può essere considerata anche la persona che si differenzia in modo radicale attraverso il proprio reddito, la cosiddetta divisione in classi sociali. Io sono diverso da te che stai leggendo, non ho il tuo stesso naso, la tua stessa bocca, i tuoi stessi occhi e neanche percepisco il mondo come lo percepisci tu. Se ci pensiamo bene siamo tutti diversi, sette miliardi di persone in questo pazzo mondo e su questi sette miliardi di persone, non ce n’è una uguale. Ognuno di noi ha la propria lingua, i propri costumi e il proprio colore della pelle e penso che non esista cosa più bella al mondo che cercare di condividere tutto ciò. Ciò che ci accomuna è proprio il fatto che siamo tutti diversi l’uno dall’altro e che facciamo parte di un’unica grande famiglia, quella degli esseri umani. Ma perché la diversità appare allora una minaccia, una barriera che si oppone tra le persone? Perché tutto quello che riteniamo “diverso” da noi incute paura, timore? Perché non possiamo essere aperti alla conoscenza? Perché ancora al giorno d’oggi, sono considerati “diversi” e quindi esclusi ed emarginati dalla società gli immigrati, gli omosessuali, i matti, i portatori di handicap, i perdenti in genere, e addirittura siamo arrivati al paradosso che si considera diverso in quanto “sfigato” chi non imbroglia, chi non si sballa, chi non veste alla moda, chi non frequenta il giro giusto? Se riflettiamo bene appare logico che, se gli altri sono diversi ai nostri occhi, anche noi saremo diversi agli occhi degli altri. E allora come si fa a stabilire chi è normale e chi è diverso?
Dipende dal punto di vista. Tutta la storia della vita sulla Terra ci insegna che la «diversità» è un fattore positivo. La ricchezza della vita, infatti, è dovuta alla sua diversità: diversità di enzimi, di cellule, di piante, di organismi, di animali. Anche per la storia delle idee è stato così. La diversità delle culture, delle filosofie, dei modelli, delle strategie e delle invenzioni ha permesso la nascita e lo sviluppo delle varie civiltà. Non dimentichiamo che l’Impero romano, che ha dominato per 500 anni sul Mediterraneo e buona parte dell’Europa continentale, doveva alla diversità la sua forza. Era in grado di occupare paesi lontani e far sì che i loro abitanti servissero come soldati per difendere i confini. Un altro esempio è quello degli Stati Uniti, fatti grandi da ondate migratorie provenienti da tutti i paesi del mondo: Francis Ford Coppola, uno dei più grandi registi nel panorama mondiale è di origine italiana; uno dei fondatori di Facebook, Zuckerberg, discende da immigrati ebrei e così via. Io ritengo che la diversità sia una risorsa insostituibile. Portare sul tavolo esperienze differenti, formazioni diverse aiuta a cambiare in meglio la percezione delle idee. Ognuno di noi ha un proprio modo di vedere le cose, che è influenzato dallo stile di vita, dall’ambiente familiare, dall’ambiente culturale nel quale ci si forma.
Quando due differenti visioni del mondo entrano in gioco, si scopre che i modi di pensare propri spesso sono limitativi e che un’apertura mentale porta a soluzioni concrete. Si pensi al più grande progetto realizzato dagli uomini: il viaggio spaziale sulla Luna, reso possibile solo grazie al concorso di menti provenienti da diversi paesi. In conclusione, la diversità, secondo me, non va vista come un problema, ma come un’opportunità. Occorre quindi aprirsi, ospitare la diversità, accoglierla come metro di giudizio e modo di pensare. Occorre capire che il bello è proprio poter confrontarsi con persone totalmente diverse da noi per poter apprendere, imparare tante cose nuove e ampliare le proprie conoscenze.
Tu non sei come me, tu sei diverso Ma non sentirti perso Anch’io sono diverso, siamo in due Se metto le mani con le tue Certe cose so fare io, e altre tu E insieme sappiamo fare anche di più Tu non sei come me, son fortunato Davvero ti son grato Perché non siamo uguali Vuol dire che tutt’e due siamo speciali. (Bruno Tognolini)
Il Mar Mediterraneo è un mare per noi importantissimo e ricco di suggestioni, che bagna Asia, Africa ed Europa, ed è stato da sempre un importantissimo crocevia di scambi (commerciali certamente, ma anche culturali) essendo via di comunicazione fondamentale, ma anche culla di grandissime civiltà, come quella romana, greca ed egizia. Ma che cos’è il Mediterraneo? Tante, tantissime cose insieme. Non un mare solo, ma tanti mari che si susseguono. Non un unico paesaggio, ma mille paesaggi diversi e vari a seconda dei versanti. Insomma, un’entità multiforme.
Mediterraneo significa “in mezzo alle terre”, infatti solo in alcuni punti comunica con altri mari e cioè: lo stretto di Gibilterra lo collega con l’Oceano Atlantico, lo stretto del Bosforo e quello dei Dardanelli lo collegano con il mar Nero e per finire abbiamo il canale artificiale di Suez che lo collega con il Mar Rosso, e quindi direttamente con l’Oceano Indiano. Il Mediterraneo fu denominato dai romani Mare Nostrum (fu addirittura Giulio Cesare a parlare di Mare Nostrum nel suo De Bello Gallico), quasi ad indicare una sorta di diritto di proprietà del mare stesso, una prerogativa che ancora oggi noi italiani sentiamo nostra, infatti quando si parla della nostra cultura o della cucina si usa definirle mediterranee, proprio perché è nato in noi un senso di appartenenza e di riconoscenza, una sorta di identità mediterranea. Sarebbe bellissimo se in questo mare potessimo fare solo nuotate rilassanti, viaggi in barca e crociere esplorative. Ci piacerebbe un mare pulito poi, libero dall’inquinamento, dove potersi bagnare in estate e fermarci ad ammirarlo in inverno, un mare per meditare e rilassarsi, per avvicinarsi alle culture che lo contornano, ai popoli che lo abitano e lo vivono ogni giorno. Oggi purtroppo questo meravigliosa distesa di acqua azzurra, questo sterminato patrimonio di Storia e di storie (anzi, di geostorie, come suggerisce il nome del nostro sito, cioè di storie che si legano fortemente al territori da cui provengono), ha iniziato a rappresentare discriminazione, razzismo e morte. Oggi siamo abituati ad associare il Mediterraeo ai barconi, alle migrazioni. A casusa dei flussi migratori che avvengono a causa di guerre, conflitti e dittature, purtroppo, nell’immaginario di oggi questo mare non sembra essere più un luogo di apertura ma un luogo chiuso, un luogo di morte.
C’è chi lo ha chiamato cimitero e anche se il termine è molto forte in effetti rende bene l’idea, visti i tantissimi uomini che in queste acque trovano la morte, invece che la nuova vita che si aspettano. Il mare dovrebbe collegare, mettere in comunicazione e non dividere; essere un luogo di vita e di vitalità e non di morte e tragedie tristi. E ancora: è un confine, questo mare, o è una frontiera? È uno spazio di tutti, e quindi un confine naturale e neutro, oppure è una frontiera intesa come limite? Perché se questo mare di incontri è diventato una barriera forse non è una bella cosa, perché una frontiera presuppone qualcuno che si fronteggia, da una parte e dall’altra. E se qualcuno si fronteggia c’è uno scontro. Ci piacerebbe che il Mediterraneo tornasse a essere sfondo di storie positive.
Abbiamo letto Storia del Mediterraneo in 20 oggetti, di Alessandro Vanoli e Amedeo Feniello, che ci ha fatto molto riflettere su come sia cambiato questo mare e sull’importanza delle storie positive, anzi delle geostorie positive, legate agli oggetti e alle persone. Qui la recensione al libro, qui aggiungeremo l’intervista ad Alessandro Vanoli, che avremo l’onore di avere ospite nella nostra scuola.
Abbiamo letto anche Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda, sempre legato al Mediterraneo. Qui trovate l’intervista all’autore, mentre Qui trovate la nostra recensione.
Cosa significa essere diversi? Diversità è il contrario di normalità? Perché la diversità spesso è un fattore che determina discriminazione? Essere normali significa doversi omologare alla società in cui si vive? Io sono una ragazza di tredici anni che cerca di trovare il senso a tante cose, di capire la società che mi circonda anche se a volte è difficile e quindi, magari, mi ritrovo a giustificare dei comportamenti che a mio avviso sembrano inaccettabili. Mi chiedo: come si può pensare che alcune persone valgano più di altre? In base a cosa si attribuisce il valore a un essere umano? In base al colore della pelle? In base al sesso? Al suo livello di ricchezza o al luogo in cui è nato? In base al fatto che è nato sano?
La storia ci insegna che le discriminazioni hanno portato alle più grandi catastrofi. Il nazismo discriminava gli ebrei, gli zingari, i disabili e riteneva che alcuni popoli fossero superiori ad altri. Si è dovuto “abbatterlo” con una guerra che ha portato alla morte di milioni di civili e alla distruzione di interi paesi. Anche in paesi come gli Stati Uniti e il Sud Africa tante persone, soprattutto neri ed immigrati, sono stati costretti ad opporsi ad un sistema che avrebbe voluto negargli i diritti più elementari, come ad esempio l’istruzione o il voto.
E oggi? In Europa si sta verificando una situazione secondo me preoccupante perché, a fronte di un flusso migratorio sempre più consistente, dovuto ad una serie di conflitti tra cui emblematico è quello siriano, centinaia di migliaia di persone cercano di raggiungere il nostro continente per sfuggire alle guerre e garantire un futuro più sereno ai propri figli. Queste persone arrivano da noi su dei barconi o dopo un lungo cammino, affrontano pericoli e rischiano di morire durante il tragitto, tuttavia quando arrivano alla loro meta non sempre trovano persone disposte ad accoglierle ma barriere, muri, porte e porti chiusi. Sento dire da molti che in passato siamo stati troppo generosi, ma io guardando ciò che succede oggi, come cittadina italiana ed europea onestamente provo un po’ di vergogna. Penso anche alla diversità – o meglio disparità – tra i sessi che, ancora adesso, in molti Paesi, porta gli uomini a ritenersi superiori alle donne. Proprio per questo, finalmente un po’ ovunque nel mondo, si stanno sviluppando dei movimenti che lottano per vedere riconosciuti alcuni diritti. In India attualmente le donne si stanno organizzando per ottenere il diritto di opporsi ai matrimoni combinati e di difendersi dalle molestie, dagli abusi da parte degli uomini. Anche in Italia molto è cambiato ma c’è ancora molto da fare: sono tantissimi i femminicidi, cioè degli omicidi a danno delle donne, spesso ad opera dei mariti o dei compagni che non accettano di essere lasciati. E mi ritrovo a pensare: ma da dove nasce questo senso di superiorità? La mia attenzione spesso si focalizza su questa superiorità che esprimono delle persone che si ritengono migliori di altri, non per meriti personali, ma perché magari più ricche, più scaltre o semplicemente sane.
Per quello che mi riguarda posso dire che amo la diversità in tutte le sue forme, perché la considero in realtà una ricchezza: mi piacciono le persone diverse da me, che possono aprirmi mondi sconosciuti, insegnarmi un altro modo di vedere. I disabili per esempio hanno un loro punto di vista sul mondo e mi fanno riscoprire una sensibilità che spesso ci dimentichiamo. Purtroppo sono penalizzati per molti versi, perché nel nostro Paese sono tantissime le barriere architettoniche e i pregiudizi che rendono ancora più difficile la loro condizione. Il “diverso” quindi, può essere lo straniero, differente per lingua, cultura, religione e sensibilità su determinate tematiche come può essere l’omosessuale o il portatore di handicap, verso il quale le persone assumono atteggiamenti contrastanti, dalla solidarietà al rifiuto. Insomma, ciò che è simile a noi forse è più rassicurante eppure, allo stesso momento, in ognuno di noi c’è il desiderio di fuggire dall’omologazione. La diversità culturale rappresenta per me una spinta alla conoscenza innanzitutto, e poi alla crescita e rinnovamento nel segno del rispetto reciproco, scongiurando il pericolo di ideologie razziste e xenofobe.
Un’altra forma di diversità è quella religiosa. La presenza della religione nella nostra società è un punto fermo che si manifesta nel bisogno di credere in qualcosa e di sentirsi una comunità. Nessuna fede può giustificare l’uccisione di un uomo e nessuna guerra può essere definita santa. Il rispetto delle diversità dipende dal nostro grado di tolleranza e di amore per la vita, dall’importanza che diamo alla vita stessa.
Al giorno d’oggi gli uomini possono essere in contrasto tra di loro anche, addirittura, a causa della fede calcistica o di un’ideologia politica. Spesso il telegiornale riporta notizie che parlano di violenze fuori dagli stadi o riscontri verbali ed anche fisici all’interno del parlamento. Che tristezza! Forse dobbiamo capire a cosa dare (o ridare) importanza! Tutte queste situazioni si verificano perché la popolazione è sempre più ignorante e siccome molte persone non hanno una grande capacità oratoria preferiscono insultare gli altri o alzare le mani quando non sanno rispondere. Ed è anche la mancanza di educazione che porta spesso a queste situazioni paradossali: io credo che l’educazione sia una qualità sempre troppo sottovalutata, oggi la persona educata viene spesso considerata debole. E credo che sia un punto molto importante questo.
Anche io alcune volte mi sento diversa, mi sento diversa quando sono assalita dai dubbi, quando a causa dell’ansia non riesco ad affrontare un ostacolo, quando intorno a me ci sono persone che hanno sempre la verità in tasca e ostentano sicurezza. Ogni tanto mi fermo a riflettere e cerco di essere clemente con me stessa, come lo sono con gli altri, e sono arrivata alla conclusione che solo le persone superficiali non hanno mai dubbi e che la mia ansia, che spesso mi ostacola, è vero, è anche un campanello di allarme che in alcune situazioni mi spinge a dare il meglio di me. Però sono soddisfatta: in fondo, pensandoci, quando mi addormento la sera raramente ho dei rimorsi, perché so che cerco sempre di capire il punto di vista degli altri, mettendomi spesso in discussione e conservando la possibilità di cambiare idea.
Sarebbe bello se nel mondo gli esseri umani vivessero nella pace e nell’armonia e che la terra non avesse barriere. Mi viene da paragonare la società a un campo fiorito: è bello ammirare un campo di papaveri rossi, ma un campo tempestato da fiori di mille colori sgargianti e diversi lo è ancora di più.
Ho letto da qualche parte che: “la terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino.” Io sono d’accordo. La diversità è ricchezza e conoscenza, rispettarla significa aprirsi a nuovi orizzonti. Sulla fratellanza ed il rispetto delle diversità noi giovani possiamo costruire le basi per un mondo migliore. Mi auguro che riusciremo a farlo. Io, nel mio piccolo, voglio mettercela tutta.