Nazi Hunters, dell’autore Neal Bascomb, è il racconto della cattura del criminale nazista, Adolf Eichmann, sparito da quindici anni dopo la fine della guerra e rifugiatosi in Argentina. Di questo libro esistono due versioni: una per adulti chiamata Hunting Eichmann e pubblicata negli Stati Uniti e l’altra, dopo il grande successo di quest’ultimo, nata dalla volontà dell’autore di ricavarne un romanzo per ragazzi, Nazi Hunters appunto. Si tratta di un thriller per ragazzi, una spy story appassionante e che, per questo motivo, si legge d’un fiato. Il libro parla della cattura del criminale nazista Adolf Eichmann. Il caso viene riaperto da un sopravvissuto e cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal che, con l’aiuto di un avvocato argentino e sua figlia, in collaborazione con i servizi segreti, forniscono informazioni cruciali per la cattura. Un gruppo di spie vivrà per un periodo in Argentina per escogitare e mettere in atto il piano di cattura. L’ 11 maggio 1960 due macchine si parcheggiano fuori casa di Eichmann , mentre il nazista sta rincasando, viene catturato. Prima di ripartire ci saranno altri problemi, ma alla fine il criminale nazista verrà consegnato alla giustizia israeliana e impiccato per i suoi crimini verso gli ebrei.
Questo libro ha molti significati nascosti: per esempio mi ha colpito il modo in cui un qualsiasi uomo possa fare del male ad un altro solo per eseguire un ordine o per paura di un suo superiore che avrebbe potuto toglierli la vita. In questo romanzo si capisce l’evidente pentimento di Adolf Eichmann che, invece di cercare di scappare o chiamare aiuto, non reagisce e si consegna ai suoi rapitori. Mi piacciono le riflessioni che il libro induce a fare, perché sono legate a temi importanti quali la consapevolezza delle proprie azioni e le conseguenze che queste possono avere. Questo è davvero un bellissimo libro. Ve lo consigliamo vivamente. All’inizio può essere un po’ difficile da seguire ma ne vale la pena.
Il Mediterraneo è stato da sempre al centro di scambi, navigazioni e migrazioni, e gli autori del libro, Vanoli e Feniello, hanno cercato di ripercorrere la storia millenaria di questo grande mare attraverso 20 oggetti (che bella idea!), alcuni comuni (come il pane, la moneta, la valigia) altri curiosi e particolari (come ad esempio la coppa, i pupi, la cesoia), comunque capaci di raccontarci in maniera suggestiva cosa è stato il “Mare nostrum” nel corso dei secoli.
Questo libro è molto diverso da tutti quelli da me letti in precedenza. Inizialmente mi sembrava difficile capire le origini dei vari oggetti soprattutto a causa della presenza di numerosi riferimenti storici; poi, pian piano, ho cominciato ad entrare nella mente degli autori e il mio giudizio è cambiato radicalmente, ed è diventato facilissimo e bellissimo leggere. Ho trovato il libro molto originale e per questo particolarmente affascinante. La storia di ogni oggetto raccontato dagli autori mi ha portato a riflettere su quante vite, amori, religioni si siano incontrati su questo mare. Per secoli, anzi per millenni, culture, civiltà diverse sono entrate in contatto per poi intrecciarsi, mescolarsi. La contaminazione è un argomento che spesso torna nelle nostre lezioni e vederlo materializzato in un libro mi è piaciuto e mi ha colpito, allo stesso tempo. Si vede benissimo nel paragrafo dedicato alla chitarra, in cui si raccontano le contaminazioni e le influenze in musica intorno al Mediterraneo. Nel racconto in cui si parla della valigia invece ho riflettuto sull’importanza di non fare sempre gli stessi errori storici, mentre in quello sul corallo mi sono soffermata a pensare al clima e all’inquinamento, a quanto la nostra cattiva condotta possa incidere sul pianeta.
Il libro di Vanoli e Feniello infatti, secondo me, è attualissimo, nonostante faccia riferimento ad eventi accaduti anche molti secoli fa. Leggendo il penultimo capitolo, il cui oggetto è il barcone, ho capito che i barconi, di cui si sente parlare quotidianamente anche nei Tg, hanno sempre solcato le acque del Mediterraneo. Non è una novità. Migliaia di viaggi, di naufragi, di sbarchi. Non tutte le volte, però, si sono mossi nella direzione di oggi, cioè da sud a nord. Al tempo dell’invasione normanna per esempio, a differenza di oggi, i barconi non andavano dall’Africa verso la Sicilia ma viceversa. Come sono cambiate le cose nel corso del tempo! Ieri il Mediterraneo era un mare aperto al sapere, alla conoscenza e la sua ricchezza originava proprio dagli scambi fra genti diverse ma in qualche modo accomunate tra loro; oggi, viviamo in un’epoca in cui i migranti vengono respinti e devono essere tutelati attraverso accordi internazionali. Il Mediterraneo è diventato un mare chiuso, fonte di divisione e ad esso sono associate spesso e volentieri immagini di disperazione e di morte. E questo dovrebbe far riflettere tutti noi! Consiglio la lettura di questo libro a tutti coloro che si sono stancati della semplice storiella e vogliono sperimentare qualcosa di diverso e più approfondito. Sarà un libro che vi stupirà. Buona lettura!
La musica Blues è stata molto importante per la vita dei neri nella seconda meta del 1900. La popolazione di colore con la musica si sfogava, si esprimeva, si divertiva, comunicava insomma. La musica è una forma altissima di comunicazione per tutti e da sempre, ma per loro il blues era davvero fondamentale: riusciva a farli stare bene, a distrarli, anche se solo momentaneamente, dalla tristezza del lavoro nelle piantagioni degli stati del sud degli USA. Le radici del Blues sono da ricercare proprio qui infatti, in queste comunità di schiavi afroamericani che sapevano trasformare la tristezza e la fatica in note preziose. Nel momento in cui cominciavano a suonare il loro strumento, come per magia, ogni brutto pensiero spariva, la fatica spariva.
L’origine del Blues non è facile da definire con esattezza, ma sappiamo che fu importantissimo l’anno 1865, anno dell’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America. Infatti, una volta ottenuta la libertà, tantissimi ex schiavi, che erano anche musicisti, iniziarono a portare la loro musica fuori dalle piantagioni e questa si diffuse a macchia d’olio, perché sapeva emozionare. Il nome Blues deriva da un modo di dire: “to have the blue devils“, che si può tradurre con “avere i diavoli blu“. Vi spieghiamo meglio: originariamente nella lingua americana espressioni come “to be blue” o “to have the blues” volevano indicare uno stato di ubriachezza. Però, dopo la guerra di secessione in America, questi modi di dire iniziarono ad essere associati ad uno stato di sofferenza, di malinconia. Da origini umili e quasi segrete, quindi, il blues diventò la forma di musica popolare più registrata al mondo. E da qui iniziò a contaminare e influenzare (in alcuni casi contribuì alla vera e propria nascita) molti generi e stili della musica popolare moderna. Tra i (tanti) generi che furono più direttamente influenzati dal blues, non possiamo non menzionare il rhythm and blues, il rock and roll e poi l’hip pop.
Insomma, noi siamo rimasti molto colpiti dal discorso che riguarda, ancora una volta, i confini varcati, le frontiere sfondate, la contaminazione. Soprattutto perché vediamo come sia un tema ricorrente in tutte le materie studiate. La contaminazione infatti, come per la geografia, è anche per la musica un processo spontaneo in tutte le culture che fanno uso di forme musicali.
Un processo che porta alla nascita di qualcosa di nuovo, qualcosa di più ricco, poi, alla fine. Ed è questo il bello.
Abbiamo visto in classe un film, Mississippi Adventure, che ci mostra come il Blues, una volta radicato nell’animo di un suonatore o di un ascoltatore, non va più via. Cattura l’anima. Nel film si racconta l’amicizia nata tra due persone molto diverse, iniziata e cementata grazie alla musica blues: da una parte il giovane Talent Boy, e dall’altra Willie Brown, un vecchio mito del Blues che deve fare iconti con la sua vita e con quelle decisioni che un giorno, in piedi fermo ad un crocicchio, stabilirono il suo destino. Un film in cui la vera protagonista è sicuramente la musica della chitarra e dell’armonica, che accompagna le vicende dei protagonisti per tutta la durata della pellicola.
Per leggere la nostra recensione del film, cliccate qui.
Lavoro di: Luigi Di Domenico, Giulia Romano, Elia Buzzelli, Diego Antonelli, Matteo Montaquila, Ivana Gargano, Lucrezia Magni, Vittoria Tragni, Alessandro Chiappini.
Il film narra la storia di Eugene, un ragazzo che vuole a tutti i costi diventare un uomo di blues, un bluesman. Venuto a conoscenza che nell’ospizio locale si trova l’ormai ottantenne Willie Brown, grandissimo mito del blues e bravissimo suonatore di armonica, il ragazzo fa di tutto affinché Willie possa insegnargli la canzone -andata perduta- del grande chitarrista Robert Johnson. Willie e Robert, il famosissimo musicista che pare avesse fatto un patto col Diavolo per riuscire a suonare la chitarra meglio di chiunque altro al mondo, erano grandi amici da giovani. E pare anche che Johnson avesse inciso inciso solo 29 canzoni sulle 30 pattuite. Per questo Eugene spera che Willie possa insegnargli “la canzone perduta”. Tra i due nasce un legame bellissimo e Brown, che dopo una iniziale freddezza si lascia contagiare dall’entusiasmo del “talent boy”, come si fa chiamare Eugene, decide di evadere: per i due ha inizio una bella avventura dalla quale nascerà una profonda amicizia e un viaggio nel Mississippi, la patria del blues, ma anche…dei patti col Diavolo. Perché anche il vecchio Willie a suo tempo fece un patto col Diavolo e il ritorno in queste zone sarà per lui una vera e propria opportunità di fare un bilancio della sua vita e…di riaffrontare il Diavolo.
Durante il cammino vivranno varie avventure, e incontreranno anche Frances, una ragazza che avrà un ruolo molto importante nella vita di Eugene. L’improvviso andar via della ragazza provoca in lui un dispiacere talmente grande che porterà il ragazzo a tirare fuori tutte le sue emozioni attraverso la musica. Ed è infatti proprio la musica ad essere la protagonista reale del film, che si conclude con il duello tra Talent Boy e uno dei migliori chitarristi della zona. Eugene vince la sfida riuscendo ad annullare il patto che Willie aveva fatto con il diavolo tanti anni prima. Un viaggio reale -quindi- ma anche simbolico, viaggio di scoperta della propria indole per Eugene, viaggio catartico per Willie. Un film bellissimo. Ve lo consigliamo assolutamente!
Se volete saperne di più sulla musica Blues e sul suo essere musica di speranza e contaminazione, leggete il nostro approfondimento qui.
Lavoro di Luigi Di Domenico, Giulia Romano, Elia Buzzelli, Diego Antonelli, Matteo Montaquila, Ivana Gargano, Lucrezia Magni, Vittoria Tragni, Alessandro Chiappini.
Carlo Levi diceva che le parole sono pietre e noi siamo d’accordo, ci sembra sia giusto sceglierle con cura e attenzione, quando scriviamo è vero, ma anche semplicemente quando ci rivolgiamo a qualcuno. Di seguito abbiamo selezionato alcune parole che ricorrono spesso nel mondo di oggi. Alcune ci piacciono molto, altre per niente. Le definizioni sono nostre, così come le riflessioni, rielaborate dopo la ricerca su dizionari vari, cartacei e online, e dopo dibattiti vari in classe in diverse occasioni. Invitiamo anche voi a selezionare con cura le parole da scegliere quando interagite con qualcuno, è anche questa una forma di rispetto verso gli altri, non trovate?
Questa è una rubrica in continuo aggiornamento, aggiungeremo nuovi termini se ne troveremo di interessanti. Stay tuned!
LE PAROLE DELL’INCLUSIONE
Inclusione: l’inclusione, in matematica, è la relazione fra due insiemi che si verifica quando ogni elemento di uno fa parte dell’altro. Se dalla matematica trasportiamo questo concetto nella società, ci rendiamo conto che includere è un’azione che facciamo (o non facciamo) più o meno consapevolmente ogni giorno, a scuola o fuori. L’inclusione dovrebbe garantire l’inserimento reale di qualcuno all’interno di un gruppo, dal semplice gruppo classe all’intera società. Qualcosa di molto simile all’integrazione, ma non di perfettamente uguale: analizziamo la sfumatura di significato tra le due parole. Ci siamo fatti aiutare dal Devoto-Oli. Includere vuol dire “inserire, mettere dentro”, mentre integrare vuol dire “rendere completo dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo”. Allora il termine integrazione indica l’insieme di processi che rendono un’individuo membro di una società. Ci piacciono entrambe queste due parole.
Empatia: che bella l’empatia! Significa sapersi mettere nei panni e nell’anima di un altro. Significa saper sentire la gioia e il dolore di un nostro amico o di un altro essere umano come se fossimo noi a provare quella gioia o quel dolore. Sul podio delle nostre parole preferite!
Condivisione: to share, condividere. Se fosse vero sarebbe bellissimo: è il verbo del momento. Eppure, il problema è che oggi sembra che si condivida solo per mettersi in mostra, per far vedere quel che si fa, dove si va. Noi amiamo i social, il nostro blog ne è un esempio, ma ci piace anche la moderazione. E ci piace condividere realmente le emozioni con i nostri amici, la nostra famiglia, le persone della nostra vita. La nostra prof ci dice sempre che la felicità è reale solo se è condivisa, e noi pure lo pensiamo. Però condivisa veramente, attraverso le ore trascorse insieme, attraverso le risate, le riflessioni, lo studio. Ricominciamo a condividere davvero.
Gentilezza: che fa rima con bellezza. E allora, se diciamo che la gentilezza salverà il mondo e che riporterà la bellezza dove manca, stiamo esagerando secondo voi? Noi non crediamo affatto di esagerare. Facciamo una prova: sorridiamo di più, rispondiamo in maniera delicata e senza arrabbiarci, facciamo più spesso una carezza. Sarà la nostra piccola rivoluzione. Vediamo gli effetti: noi ci scommettiamo, sarà un delirio di bellezza.
Imparare: anche questa parola la amiamo molto. Si lega alla nostra curiosità, alla nostra voglia di scoprire il mondo in maniera diretta, facendo esperienze. Se non impariamo nulla non c’è evoluzione. E noi vogliamo essere uomini e donne evoluti, uomini e donne che sanno stare nel mondo e lo conoscono. Per questo abbiamo capito che studiare è importante, anche se faticoso tante volte. Una fatica oggi però, vale un uomo o una donna libera di domani. E allora….apriamo il libro, dai!
LE PAROLE DELLA DIVERSITA’
Discriminazione: parola che fa un po’ male. Discriminare vuol dire differenziare, classificare in senso negativo, spesso dispregiativo. Diciamo che è una parola troppo usata e pure troppo messa in pratica, ma va contro la nostra voglia di inclusione. Secondo noi discriminando ci perdiamo tante opportunità di crescita, di conoscenza e di arricchimento.
Violenza: che sia violenza su una donna o che sia violenza di un bullo su uno studente, per noi non fa differenza. La violenza va condannata in ogni sua forma, qui siamo categorici e tutti d’accordo. Wikipedia dice così: “con il termine violenza si intende un atto volontario, esercitato da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà. Etimologicamente: che vìola, ciò che oltrepassa il limite della volontà altrui”. Ci sembra importantissimo il concetto di limite (trattato da diversi punti di vista qui sul sito), di violazione della volontà e del rispetto di un altro essere umano. La persona violenta è infatti una persona insicura, debole, che ha bisogno di avere costantemente attenzioni solo per lui e che non vede l’altro, non si cura degli altri esseri umani. In altri dizionari abbiamo trovato la definizione di violenza legata a una “forza impetuosa e incontrollata”: benissimo, vero, ma tutto quel che è fuori controllo dovrebbe farci riflettere. E a proposito di forza impetuosa, sicuramente la più forte è l’amore. Ed è l’unica, fidatevi, che può combattere la violenza.
“Il diritto di contare” racconta la storia vera di tre donne fantastiche, che mi ha davvero colpita moltissimo. Tre donne che rivendicano il diritto di contare, contare matematicamente e contare in quanto entità civili e sociali. Si parla di emancipazione femminile, di razzismo, di numeri, di NASA e di conquista dello Spazio. Insomma un vero e proprio mix vincente.
Vediamo meglio: siamo nella Virginia segregazionista degli anni Sessanta in cui neri e bianchi vivono vite separate, dagli uffici ai bagni, dalle biblioteche agli autobus. Katherine Jonhson è scienziata e collaboratrice della NASA, molto in gamba e risluta, ma ha un problema: è donna ed è di colore, quindi deve affrontare problemi di sessismo e razzismo. La protagonista di questa storia, infatti, viene emarginata al punto da non poter frequentare gli stessi locali dei suoi compagni di lavoro e, anche per andare in bagno, incontra difficoltà notevoli: deve percorrere un chilometro di strada perché non le era permesso di utilizzare i bagni riservati esclusivamente ai bianchi. Il suo supervisore a lavoro non le riconosce nemmeno i meriti del lavoro effettuato e cerca in tutti i modi di sminuirla e farla sentire inferiore. La donna però, fortissima e determinata, riesce comunque a superare i tanti ostacoli anche grazie al supportodi due amiche, come lei afro-americane, con cui lavora e con cui divide anche molto del suo tempo libero: l’aspirante ingegnere Mary Jackson, bellissima e frizzante, e la contabile Dorothy Vaughan, una spalla affidabile su cui poter sempre contare. Katherine alla fine del film fornirà un fondamentale aiuto alla sua squadra, che stava lavorando al lancio di un uomo in orbita e poi sulla Luna, riuscendo a guadagnarsi il rispetto dei suoi colleghi. Grazie al talento di tre donne nere, la NASA ottiene un successo mondiale e di riscatto, dopo il lancio dei satelliti russi, e loro tre ottengono un successo personale: con il loro garbo e la loro gentilezza, unita alla conoscenza e alla preparazione, riescono a far valere i propri diritti.
Mi è piaciuto molto questo film e credo sia adatto al nostro sito e al nostro progetto sui confini e sulle frontiere, perché le protagoniste sono riuscite ad abbattere due confini radicati e difficili da sfondare: sia quello tra uomini e donne, particolarmente e tristemente noto anche oggi, seppure in certi ambiti in maniera ridotta, e sia quello tra “bianchi” e “neri”. Abbiamo studiato la segregazione razziale negli Stati Uniti D’America e altri argomenti in cui alcuni popoli sono stati sottomessi da altri, momenti tristi della storia mondiale in cui una moltitudine di individui è stata costretta a dover rinunciare alla propria dignità per uno sciocco complesso di superiorità da parte di alcune persone. Quelle persone che, sentendosi minacciate nei loro privilegi, hanno permesso ai loro peggiori istinti di prevalere sulla razionalità. Il film mi ha fatto riflettere su questo aspetto e mi ha anche fatto capire che la grande Storia si scrive, alla fine, con le piccole storie di ognuno di noi.
INTERPRETI
PRINCIPALI: Christian Bale, Robert Sean Leonard, Frank Whaley, Kenneth Branagh
AMBIENTAZIONE:
Germania anni Trenta
GENERE:
Drammatico / Storico
Lo sfondo di questa storia è la Germania della Seconda Guerra Mondiale, argomento appena studiato in classe che ci ha molto colpito. Uno sfondo che assume talmente tanta importanza da sembrare un personaggio. Una Storia che è talmente ingombrante che influenza le storia del film. Il regime nazista bandisce diversi generi musicali, in favore di musiche nazionali tipo il valzer: mette dunque al bando il jazz e anche la musica Swing -nuova corrente musicale allegra e spensierata proveniente dall’America- e dichiara fuorilegge i locali dove si suona. Tuttavia, un gruppo di giovani tedeschi ribelli, detti “Swing Kids”, entusiasti della musica da ballo americana, fanno dello swing un simbolo di rivolta: ascoltano di nascosto i dischi, vestono all’inglese e portano i capelli lunghi. Tre di loro sono studenti diciassettenni: Peter, figlio di un grande violinista classico, ucciso in una prigione nazista; Thomas, di ricca famiglia borghese e Arvid, bravo chitarrista con un problema alla gamba. I tre sono giovani amici che non vogliono cedere alle ideologie del regime, ma le violente incursioni di ragazzi appartenenti alla Gioventù hitleriana, che vigila sul comportamento dei cittadini, nei locali in cui si suona clandestinamente e nella vita quotidiana dei tedeschi degli anni Trenta, purtroppo, agiranno in qualche modo. Questo film ci mostra come ragazzi poco più che adolescenti sono costretti a confrontarsi con un duro momento storico in cui la propaganda nazista era talmente forte e invasiva che alla fine le ribellioni vengono sedate, i cervelli condizionati e le vite…spezzate. Una scena che mi ha colpito particolarmente è quella della morte di Arvid: si suiciderà nella sua vasca da bagno con un pezzo di disco. La musica che lui ha tanto amato lo accompagnerà fino alla fine. Non vi svelo come finiscono le vicende che riguardano gli altri due amici, questo è un film che merita la vostra attenzione. Il tono drammatico viene alleggerito dalle canzoni e dalle musiche presenti, dalle scene di ragazzi scatenati in balli clandestini. La musica è travolgente e il film fa riflettere. Voto: 8.
In occasione della giornata della poesia, la prof ci ha distribuito dei segnalibri con su stampata una poesia, un regalo per noi e un’occasione per riflettere.
Questa poesia, Prima di tutto l’Uomo, di Nazim Hikmet, è un inno all’amore, amore per l’ambiente e la natura, ma soprattutto amore per l’essere umano. L’autore dedica al figlio queste parole, come messaggio importante da lasciargli e trasmettergli, come un tesoro prezioso da custodire, come una specie di ricetta per la felicità. Noi abbiamo commentato e analizzato la poesia in classe e abbiamo espresso le nostre riflessioni sia oralmente sia in maniera scritta.
Scorrendo la galleria potrete leggere alcuni dei nostri lavori; l’immagine di copertina è una foto di Alessia Raimondi.
Abbiamo analizzato alcuni brani letterari, testi in prosa o poesie, e abbiamo notato che la geografia è davvero presente in maniera profonda. Dalle descrizioni dei paesaggi agli elementi che riguardano l’orientamento…ci siamo resi conto che la geografia permea non solo la letteratura, ma proprio la vita di tutti i giorni.
Questa è la storia di Enaiatollah Akbari, un ragazzo
originario dell’Afghanistan e arrivato in Italia dopo una terribile
odissea che lo ha portato a spostarsi attraverso Pakistan, Iran, Turchia e
Grecia. All’età di undici anni, infatti, sua madre, per sottrarlo ai pericoli
del paese in cui vive, lo porta e poi abbandona in Pakistan, non prima di avergli
fatto tre raccomandazioni che lui ricorderà sempre: non usare droghe, non usare
armi e non rubare. Enaiatollah in
Pakistan riesce a guadagnare e a sopravvivere finché un giorno incontra
un gruppo di ragazzini intenzionati a partire per l’Iran e si unisce a loro. Tra questi c’è
anche Sufi, con il quale istaura una bella amicizia. In Iran trovano lavoro
come muratori; nel cantiere li pagano bene e il venerdì, che è il loro unico
giorno libero, come tutti gli altri bambini, vanno a giocare. Enaiatollah
conosce poi un altro gruppo di ragazzini che gli propone di andare in Turchia.
Lui accetta, per migliorare le condizioni della sua vita, ma a malincuore
perché Sufi decide di rimanere in Iran. Il viaggio è difficilissimo, rischia più volte la vita
sulle montagne e, una volta arrivato in Turchia, viene trasportato fino a
Istanbul nel sottofondo di un camion dove resterà per tre giorni. Il tutto è
raccontato con grande trasporto, poiché il dolore del protagonista è grande in
quel drammatico viaggio, in cui scopre quanto l’uomo possa essere cattivo. Decide poi di partire per la Grecia.
C’è da attraversare un tratto di mare usando solo un gommone e dei vecchi remi.
Uno
dei compagni di viaggio cade in acqua e, malgrado vari tentativi, non riescono
a salvarlo. Arrivano infine in Grecia ma Enaiat, dopo aver scoperto di non
poter restare in quanto privo di permesso di soggiorno, si imbarca
clandestinamente per l’Italia dove vive
un ragazzo del suo paese che conosce solo di nome. Prov ugualmente. Raggiunge
Venezia, poi Roma e infine Torino. Qui viene poi ospitato in una famiglia (che in seguito lo adotterà)
e inizia a studiare, rendendo la sua vita migliore, finalmente. Dopo qualche
anno decide di contattare la madre e chiede ad un amico di rintracciarla. Una
sera riceve una telefonata segnata da lunghi silenzi e molte lacrime. La mamma
è ancora viva.
Ero convinta che il libro non mi sarebbe piaciuto, perché
i miei generi preferiti sono altri, e invece mi sbagliavo. Man mano che
continuavo, la lettura mi catturava sempre di più, mi ha coinvolto a tal punto
che mi sembrava di essere nel libro al fianco di Enaiat, durante il suo
sfincante viaggio. Mi ha colpito il coraggio di Enaiat il quale, nonostante le
innumerevoli difficoltà incontrate, non si è mai perso d’animo.
È impressionante come un ragazzino della mia età abbia
lottato per la sua libertà e sia riuscito a conquistarla; è impressionante il
confronto con noi ragazzi che abbiamo tutto, che non sappiamo forse lottare più
per niente. Il libro fa riflettere sulle difficoltà e le sofferenze di coloro
che decidono di fuggire dai propri paesi di origine nella speranza di trovare
un futuro migliore, trattando il tema scottante delle migrazioni attraverso un
punto di vista interessante e coinvolgente. La storia di Enaiatollah si conclude con un
lieto fine. Come una favola. Il bello è che però, tra l’Afghanistan e
l’Italia, si parla di vita vera, perché quella che Fabio Geda ci racconta
magistralmente è una storia vera. Il libro è inoltre anche avventuroso, raccontato con
un linguaggio a tratti avvincente e a tratti commovente, ed è vero che parla di
ingiustizie, ma è vero pure che racconta sopratturro di amicizia vera, di bontà
e generosità umana.
Ci fa capire quanto siamo fortunati, da questa parte
del mondo, e ci porta ad apprezzare quello che abbiamo spingendoci a dare,
quando possibile, una mano agli altri e a
non guardare con sospetto quanti sono diversi da noi. Grazie a questo
libro ho riflettuto su quanto sia importante il valore di ogni vita, di quanto
ognuno di noi possa essere un grande uomo e una grande donna se sa essere
gentile, amorevole, intelligente e “realmente umano”. Penso sia un libro
fantastico da cui si possono imparare molte cose. Dà coraggio e insegna a non
arrendersi al primo ostacolo.
Quipotrete leggere la nostra intervista all’autore, Fabio Geda, che ringraziamo ancora una volta sia per sua la disponibilità, sia per le parole del suo libro.