Abbiamo letto “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda. Ci è piaciuto tantissimo e abbiamo pensato di fare qualche domanda all’autore per soddisfare le nostre curiosità.
- Dove e come ha conosciuto Enaiatollah?
Ci siamo incontrati durante una presentazione del mio primo romanzo. Lui era stato invitato a fare da controcanto, con la sua storia vera, alla storia da me inventata di un ragazzino romeno che viaggiava da solo, in Europa, per cercare suo nonno. Quando l’ho sentito parlare, e raccontare, ho percepito una grande sintonia tra il suo sguardo leggero, persino ironico, sulle proprie drammatiche vicende, e quello che io tentavo di fare con la mia scrittura. In quel momento, quella sera stessa, “Nel mare ci sono i coccodrilli” ha cominciato a nascere.
- Cosa ha provato quando ha ascoltato la sua storia?
Curiosità per tutto ciò che non sapevo. Vergogna per il comportamento di certi uomini. Orgoglio per il fatto che stavo aiutando Enaiat a raccontarla.
- Perché ha deciso di scrivere questo libro?
Perché ciascuno di noi può fare del suo meglio per cambiare il mondo, per renderlo più equo e ospitale, e il primo passo, secondo me, è sapere le cose. Bisogna informarsi, comprendere e, quindi, avere gli strumenti per poter discutere. Online ci sono molti siti dove informarsi, quello dell’Unhcr, quello di Save the children, oppure il Redattore sociale. Il mio unico scopo, quando scrivo una storia, è raccontarla, diffonderla, perché ho una grande fiducia nel potere della narrazione. Ogni storia porta dentro di sé delle verità e se la gente ha voglia può permettere a quelle verità di entrare nella propria vita. Ogni storia è come un paio di occhiali: una volta indossati, non puoi più guardare il mondo come prima. Ecco, io spero che questa storia cambi lo sguardo ai suoi lettori. Molti mi dicono: Dopo aver letto la storia di Enaiat non riesco più a guardare i giovani migranti con gli stessi occhi di prima, vedo Enaiat ovunque. Ecco, questo è il risultato che mi rende più felice.
- Il titolo “Nel mare ci sono i coccodrilli” ci è piaciuto moltissimo perché è molto evocativo: come le è venuto in mente?
Senza entrare nell’ovvia metafora dei tanti pericoli che attanagliano l’infanzia nel mondo (i coccodrilli sono i regimi ortodossi, coccodrillo è chi abusa, chi sfrutta, chi ferisce) mi interessava segnalare la paura tipica di un infanzia nella quale l’adulto è assente. Tra le tante cose di cui potevano avere paura Enaiat e i suoi amici, sulle coste turche, certo tra queste non ci sono i coccodrilli. Ci fossero stati degli adulti, lì, con loro, avrebbero potuto dire: Stai tranquillo, i coccodrilli nel mare non ci sono (ci sono le onde, le motovedette e tanto altro, ma non i coccodrilli), e quegli stessi adulti avrebbero potuto consolare i bambini. Ma gli adulti non c’erano. Noi, non c’eravamo.
- Com’è stato il suo rapporto con Enaiatollah durante la scrittura del libro?
Ottimo. Lui era felice, ma non commosso. Era molto lucido, lui è sempre molto lucido. Credo che tutto quello che ha passato abbia ricalibrato il termometro della sua emotività. Lui non si emoziona per quelle cose che di solito farebbero emozionare noi. In fondo, se a tredici anni sei costretto a rubare le scarpe a della gente morta, per sostituire le tue, be’, di cosa puoi ancora stupirti?
- La vicenda si conclude con la telefonata tra Enaiatollah e la madre. Sa se si sono rivisti? Che rapporto ha oggi Enaiatollah con il suo paese e le sue origini?
Purtroppo non si sono più rivisti. La mamma è mancata tre anni fa senza che Ena avesse la possibilità di tornare in Afghanistan a trovarla. Ma si sono sempre sentiti per telefono e lui continua a informarsi sulla situazione politica e sociale del suo Paese.
- In merito alla tematica scottante delle migrazioni, qual è la posizione di Enaiatollah? E la sua?
È un tema complesso che ha bisogno di risposte complesse. È un tema che trattiamo come fossimo sempre in emergenza perché non abbiamo la saggezza e la serenità di considerare le migrazioni come un dato naturale e strutturale delle nostre società. Ma non si fermeranno. E prima o poi dovremmo accettarlo e cambiare strategie.
- Com’è nata la sua passione per la scrittura? Desiderava fare lo scrittore fin da bambino?
Non so quando ho cominciato a scrivere, ho come la sensazione di averlo sempre fatto. Ho un ricordo vago di me bambino, forse facevo le elementari, che ricopio brani del Giornalino di Gian Burrasca sul mio diario personale per far finta di averli scritti io (un plagiatore in fasce, insomma). E so di aver pubblicato un racconto horror sul giornalino della scuola, in prima liceo. Invece, so bene perché. Per dilatare la mia vita, renderla più spaziosa ed eterogenea. Fin da piccolissimo, lì dove c’era una storia, c’ero io. Che fosse veicolata da un fumetto, da un quadro, da un film, da un libro, o che fosse messa in scena su un palco, non aveva importanza.
- Come scrive di solito, a mano o al computer?
Computer, ma certo. A mano so a mala pena fare la firma. (Scherzo eh! Ma non molto).
- Ha dei nuovi romanzi in cantiere? Quali tematiche affronteranno?
Ho sempre nuovi romanzi in cantiere, ma per ora… segreto!
Qui potrete leggere la nostra recensione del libro.