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Recensione Film: In Time

GENERE: Azione, fantascienza, thriller

REGISTA: Andrew Niccol

DATA DI PRODUZIONE: 2011

AMBIENTAZIONE: Futuro, anno 2169.

INTERPRETI PRINCIPALI: Justin Timberlake & Amanda Seyfried

“In Time” è ambientato in un’epoca futura in cui l’uomo è geneticamente progettato per vivere fino ai 25 anni; una volta superati, all’uomo non rimane altro che un solo anno di vita e, dai 25 anni, sull’avambraccio di ogni essere vivente un timer visibile sotto pelle, inizia a scandire il tempo rimanente di ciascuno di loro. Dunque il tempo diventa in qualche modo la ricompensa per ogni lavoro, per ogni favore, una sorta di denaro dell’epoca. I ricchi quindi sono ricchi di tempo, i poveri in questa società devono guadagnarsi ogni giorno altro tempo da vivere.

A Will Salas (Justin Timberlake), protagonista maschile, succedono dei fatti che lo cambieranno per sempre: un “ricco” gli regala un secolo di vita poiché riconosce nel protagonista, che gli salva la vita, una certa nobiltà d’animo, svelandogli anche dei segreti su alcune persone che controllano il tempo di tutti, cercando di far rimanere per sempre la società nettamente divisa tra ricchi (con la possibilità di vivere illimitatamente) e poveri (che ogni giorno sono costretti a guadagnare tempo). Per una serie di coincidenze e peripezie che non vi svelo, Will diventa un fuggiasco insieme alla protagonista femminile Silvia Weis (Amanda Seyfried), figlia di un ricco personaggio. I due decidono di cambiare la società in cui vivono, divisa tra ricchi e poveri, rapinando le “banche del tempo” della famiglia Weis e regalando il tempo ai più poveri. Alla fine, tra colpi di scena e suspence, riescono a sovvertire il sistema e progettano azioni sempre più grandi.

Il film mi è piaciuto perché l’attenzione è focalizzata sull’idea di uomini che resistono al culto del capitale, cercando di rimanere umani e donare vita anche ai più poveri, donare tempo facendo una corsa contro il tempo per riscoprire l’importanza di un abbraccio: secondo me è una bella tematica, in linea con il senso di limite e frontiera che in classe abbiamo sviscerato da tanti punti di vista. Cosa conta davvero? Qual è il limite tra giusto e sbagliato? Perché alcuni hanno più tempo di altri? Una frase mi ha colpito e mi ha fatto riflettere su quanto a volte sprechiamo il nostro tempo: “Mi resta solo un giorno da vivere” – “In un giorno si possono fare molte cose”. Lo condivido, cerhiamo di riappropriarci del nostro tempo e di usarlo nel migliore dei modi, coltivando umanità e solodarietà tra le persone.

Sara Ricchiuto

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Recensioni film: Alla luce del sole

GENERE: Biografico realistico/drammatico

AMBIENTAZIONE: Palermo, Quartiere Brancaccio (1991-1993)

REGISTA: Roberto Faenza

DATA DI PRODUZIONE: 2005

INTERPRETE PRINCIPALE: Luca Zingaretti nel ruolo del protagonista don Puglisi

Ci è stata proposta in classe la visione del film “Alla luce del sole”, che narra la vicenda di don Puglisi, insediatosi nel 1991come parroco nel quartiere Brancaccio, a Palermo, una delle zone della Sicilia con la più alta densità mafiosa ed assassinato il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno.

Don Puglisi lotta con tutte le sue forze per opporsi alla mafia e salvare i ragazzi del quartiere da un futuro già segnato.

Allestisce velocemente, con l’aiuto di Domenico, un bravo ragazzo che ha la sfortuna di avere come padre uno dei capi della mafia del quartiere, un campo da calcio nel cortile della parrocchia. Chiama a raccolta i ragazzi, cercando di insegnare loro nuove regole e  nuovi valori. Il suo “centro di accoglienza” diventa ben presto un punto di riferimento per tutti i giovani del quartiere. Le continue minacce subite da parte dei boss locali portano il coraggioso parroco a richiedere un aiuto e così vengono inviate tre suore. Riesce anche a trovare un vice-parroco, un vecchio amico disposto ad aiutarlo. Don Puglisi sfida a viso aperto il sistema mafioso, arrivando a tenere discorsi in pubblico che non vengono per nulla graditi dai boss, che infatti alcune settimane dopo decidono di uccidere il sacerdote. Don Puglisi viene ferito a morte e resta così nel centro di Brancaccio per lunghissimi minuti senza soccorso: le persiane delle case rimangono chiuse e i pochi passanti cambiano strada fingendo di non aver visto niente. Al funerale sono presenti tutti i bambini della parrocchia, che lasciano un pensiero per lui sopra la bara.

Questo film è molto coinvolgente. Non si può rimanere indifferenti di fronte al coraggio di questo parroco che non si è lasciato condizionare dalla paura e ha dato tutto se stesso per sconfiggere la mafia e dare ai ragazzi un futuro migliore. Non mancano scene violente, come quella in cui Domenico viene picchiato con una cinghia dal padre, solo perché si era recato nuovamente in parrocchia nonostante gli fosse stato proibito. Il film trasmette molta tristezza perché quanto accade è una storia vera, non il frutto della fantasia di un regista. Fa riflettere su quanto le persone possano diventare crudeli per avidità di potere e di denaro, su quanto la paura, a volte, condizioni le nostre azioni. Fa capire quanto sia importante avere il coraggio di portare avanti le proprie idee e aiutare chi è in difficoltà, perché, come diceva Paolo Borsellino: “E’ bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una sola volta”.

Purtroppo, nonostante il sacrificio e l’impegno sia di personaggi noti come Falcone e Borsellino, sia di persone comuni, che ogni giorno lottano contro le ingiustizie e le prevaricazioni, il drammatico fenomeno della mafia è ancora molto radicato nella nostra società.

Giulia Romano.