Come si può facilmente immaginare, la vita nel deserto è molto difficoltosa, per questo motivo le aree desertiche sono tra le meno popolate al mondo.
La popolazione del deserto più nota è quella dei Tuareg, nomadi e organizzati in piccole tribù, non superiori ai 40 membri. Sono principalmente stanziati nel sud dell’Algeria, nel Niger e nel Mali. La loro religione è islamica. Sono soprannominati “uomini Blu” per via del colore del telo con cui gli uomini si avvolgono la testa ed il viso, lasciando scoperta solo una stretta fessura per gli occhi. Indossano una lunga veste chiamata caftano, che serve ai Tuareg per ripararsi dal vento e dalla sabbia del deserto. Si dedicano soprattutto alla pastorizia e all’agricoltura nelle oasi e all’allevamento di dromedari.
I Tuareg vivono principalmente di prodotti ricavati dai loro animali. La loro alimentazione è costituita da latte cagliato, burro fermentato, datteri e cereali dai quali ottengono la farina. Cucinano un particolare tipo di pane che viene cotto sotto la sabbia rovente del deserto. Si sa poco di preciso sul più antico passato di questo popolo, ma ciò che è certo è che per secoli i Tuareg sono vissuti come dominatori del deserto, esercitando l’allevamento, il commercio transahariano e la razzia, il che portava a frequenti scontri tra tribù.
Sottomessi dai Francesi intorno agli inizi del novecento, i Tuareg poterono mantenere a lungo i propri capi e le proprie tradizioni. Ma con la decolonizzazione videro il loro territorio diviso fra molte nazioni, con la conseguente creazione di frontiere e di barriere che rendevano estremamente difficile, quasi impossibile, il modo di vita tradizionale basato sul nomadismo. L’attrito con i governi al potere si fece sempre più forte e sfociò, negli anni novanta, in aperti scontri tra tuareg e i governi di Mali e Niger; l’intervento militare, che a volte ha massacrato la popolazione di interi villaggi, ha causato la morte di molte persone.
Un altro dei popoli più conosciuti sono i Berberi, nella loro lingua vuol dire “Uomini liberi”. I Berberi sono un popolo nomade originario del Nord Africa e si stima siano 40.000 persone in totale di cui maggior parte vive in territori del Marocco ma alcuni in Algeria, Tunisia e Libia. Negli ultimi anni stanno diminuendo a causa delle emigrazioni. Essi hanno una storia antica e lunga, infatti il primo segnale rinvenuto a far capire la loro presenza risale a 12.000 anni fa, cioè delle pitture rupestri trovate in Libia.
I Berberi sono stati influenzati dagli Arabi nel settimo secolo e da loro hanno preso la religione Islamica, visto che prima erano Cristiani, giudici o animisti (crede che non gli umani abbiano spirito e anima ma anche piante animali e lo stesso pianeta). Una delle loro particolarità è la struttura sociale: sono divisi in tribù ed ogni tribù ha un capo, spesso uomini. Qui a differenza dei Tuareg è l’uomo a scegliere la donna, ma in alcuni casi dipende dalle famiglie e cambia in base alle regioni. Di solito gli uomini pensano al bestiame e le donne alla famiglia e all’artigianato. La loro alimentazione si basa primariamente sul granturco, latte di pecora, formaggio di capra, burro, miele, carne e selvaggina.
La loro cultura è tribale ed è fortemente radicate nella loro tradizione e anche qui cambia da regione a regione, e soprattutto in Marocco costituiscono un enorme patrimonio culturale che rende la nazione unica. Ogni loro celebrazione è rallegrata dalla musica tradizionale, suonata con flauti e batteria accompagnati da un gruppo di ballerini, sia uomini che donne. La loro lingua è divisa in 3 rami, in base alle zone da loro abitate, e fino a qualche anno fa era vietata anche nelle scuole marocchine, ma nel 2011 il re del Marocco, Mohamed VI, la riammise e la fece diventare la seconda lingua ufficiale della nazione. Questa lingua appartiene alla famiglia linguistica afroasiatica, che si lega anche all’egizio, all’arabo e all’ebraico.
Il termine “berbero” deriva dal francese berbère, che a sua deriva dalla prununcia magrebina dell’arabo barbar. Il termine si lega senza dubbio al latino barbarus, con cui, lo ricordiamo, venivano chiamate all’epoca dell’Impero Romano le popolazioni che semplicemente non parlavano la lingua latina.
A proposito di confini immaginari, frontiere e limiti imposti della nostra mente che spesso ci hanno fatto perdere possibilità importanti di incontro con l’altro, parliamo di razzismo.
Un salto nel passato: il razzismo affonda le sue radici in tempi antichi. Nel Medioevo, per esempio, alcuni sovrani cristiani vollero impadronirsi delle fortune dei banchieri ebrei; più avanti, intorno al 1500, Spagna e Portogallo portarono schiavi africani nelle loro colonie per impiegarli nei lavori più faticosi senza paga, o quando il 31 marzo 1492 dopo l’unificazione delle corone spagnole, il re e la regina di Spagna firmano la legge per espellere tutti gli uomini di religione ebrea dal territorio spagnolo. Poi l’ideologia razziale acquistò una grande importanza politica tra il 1800 e il 1900, quando cominciarono a diffondersi le teorie sulla superiorità della razza ariana. Il razzismo si diffuse molto, come potete immaginare, anche durante il periodo del colonialismo, quando alcune potenze europee svilupparono una forte idea di discriminazione e disprezzo nei confronti degli indigeni in America, per esempio, o con le persone di colore in Africa. Prima di ciò, il concetto di razzismo era legato “semplicemente” al fatto che un popolo era diverso da un altro popolo. Quando nel 1912 l’Italia attaccò la Libia fece emergere un diffuso razzismo anche nella convinzione della superiorità dei bianchi, e della conseguente inferiorità delle persone di colore. Da qui nascerà la convinzione del diritto/dovere dei bianchi di portare la “civilizzazione” verso popoli ritenuti inferiori. Tra il 1870 e il 1910 in Europa nacque la teoria razzista che accentuò un’elevata violenza contro il diverso. Il razzismo affermò che, come in natura ci sono animali più nobili e forti di altri, questo era uguale per gli uomini.
Eppure, nelle epoche più lontane, si aveva un giudizio discriminatorio che più che alle razze era legato alla società: il patrizio (nobile) era superiore al plebeo (povero) che, se libero, era superiore allo schiavo. La discriminazione passa allora anche da altri fattori, come la società o il sesso. Non si deve dimenticare che molte società di oggi sono sessiste e considerano l’uomo più forte, più intelligente, per il semplice fatto di essere di sesso maschile, e le donne vengono considerate biologicamente inferiori, solo perché tali. La mentalità premoderna non avrebbe mai considerato uno schiavo bianco superiore ad un principe arabo di pelle più scura nel campo sociale, ma lo avrebbe fatto in ambito culturale e religioso. Però se il nobile arabo si fosse convertito al cristianesimo esso sarebbe diventato superiore allo schiavo da tutti i punti di vista. Questo fa riemergere l’ideologia di superiorità di casta. Ma fa emergere allo stesso tempo una gran confusione. Sembra che queste teorie discriminatorie facciano acqua da tutte le parti. Diciamo che non ci hanno convinti… allora abbiamo cercato di capire di più.
Il razzismo scientifico: si è sentito parlare, in certi momenti (tristi momenti) storici, di razzismo scientifico, che è definito come lo studio che appoggia e giustifica le ideologie razziali, diventando fondamento scientifico alla cosiddetta “scienza delle razze umane”. Il razzismo scientifico usa l’antropologia, l’antropometria, la craniometria e altre pseudo-discipline per classificare le razze umane distinguendole fisicamente e separandole, così da poter affermare che una sia superiore all’altra. Il razzismo scientifico si è diffuso dal XVII secolo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Caspita, questo ci fa riflettere: la guerra mondiale è finita poco tempo fa…possibile che l’uomo abbia ritenuto vere queste teorie? Nel XX secolo, però, per fortuna, il razzismo di base scientifica fu criticato e giudicato non corretto, sempre più screditato a livello scientifico ma ampliamente utilizzato per la consolidare l’ideologia razzista in tutto il mondo, per fare propaganda. Con la fine del secondo conflitto mondiale il razzismo scientifico fu formalmente denunciato in una dichiarazione dell’Unesco del 1950 che appoggia l’antirazzismo. E, poiché la genetica evolutiva si è sviluppata in maniera tale che le differenze genetiche umane non sono più considerate esistenti, in materia di razza, noi oggi non abbiamo più il concetto di razza.
Il razzismo in Europa In Germania: la conseguenza del razzismo che si diffuse, prima in Germania e poi in tutta Europa, fu l’Olocausto. Purtroppo non serve spiegare di cosa si tratta, si sa molto bene. Quello che si sa meno è che si tratta di razzismo non solo contro gli ebrei, sicuramente in maniera più massiccia, ma anche verso rom, extra comunitari, disabili e gente di colore. In Italia: l’Italia nel periodo fascista aveva praticato un’ideologia razzista per compiacere la Germania, il suo maggior alleato. Purtroppo in Italia furono emanate delle leggi razziali, le leggi razziali fasciste, rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica, fra il 1938 e il 1945, che sono un insieme di provvedimenti applicati inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. In Polonia: durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo la conquista della Polonia, i nazisti avevano imposto un forte razzismo e fatto dilagare un sentimento di disprezzo prima contro gli ebrei e poi contro polacchi. Anche dopo la guerra il razzismo in Polonia è stato forte e il nazismo ha corrotto la cittadinanza polacca fino a far credere loro che la fortuna sarebbe arrivata tramite Hitler.
Il razzismo in Africa In Sudafrica e Namibia: l’Apartheid è la politica di segregazione razziale da parte di etnie bianche nel Sudafrica che è stata in vigore dal secondo dopoguerra fino al 1994. L’Apartheid è stato dichiarato crimine internazionale contro l’umanità da una convenzione delle Nazioni Unite entrata in vigore nel 1976. Recentemente è stato inserito nella lista dei crimini contro l’umanità perseguibili dalla Corte Penale Internazionale. In Ruanda: laquestione del razzismo qui si riscontra principalmente nel genocidio del 1994, uno dei più terribili massacri del XX secolo. La maggior parte delle vittime era di etnia Tutsi, una minoranza rispetto agli Hutu cioè il gruppo etnico maggiore a qui facevano capo i principali gruppi responsabili dell’omicidio. Nel massacro non furono risparmiati nemmeno gli Hutu moderati. Dal punto di vista genetico i due gruppi etnici sono estremamente affini ed esattamente come in tutti i fenomeni razzisti, le differenze sono principalmente sociali e culturali.
Il razzismo in Asia In Giappone: qui i casi di discriminazione razziale riguardano quasi esclusivamente le minoranze etniche, in particolar modo le popolazioni Ainu, Burakumin, Ryukyuani, cioè i discendenti degli immigrati dai paesi vicini, e dei nuovi immigrati giunti soprattutto da Brasile, Filippine e Vietnam. Questo è dovuto principalmente dalla convinzione della gente nipponica che solo persone del loro stesso “tipo” possono capire la solo cultura. La costituzione giapponese proclama l’uguaglianza, davanti alla legge, di tutti i cittadini da ogni punto di vista, ma nonostante questo non prevede reali provvedimenti penali contro chi compie discriminazioni legate a queste questioni.
Il razzismo in America Negli USA: il razzismo su base pseudo-scientifica in America fu rafforzato dalle guerre indiane. Per giustificare il genocidio compiuto sugli indigeni è stato detto di tutto. Tutto senza un vero fondamento, però. E alla fine la conquista delle Americhe portò allo sterminio di milioni di indiani: si trttò del genocidio più numeroso della storia. Lo sterminio indiano fu ripreso da Hitler come esempio per la soluzione finale, fin dalle primissime edizioni del Mein Kampf (la mia battaglia), manuale d’ideologia razzista e nazionalsocialista. Andiamo a vedere la situazione dell’America coloniale prima che la schiavitù fosse giustificata e praticata su ideologia razziale: prima, dunque, schiavi sia neri che bianchi lavoravano insieme, con la differenza però che uno schiavo bianco dopo un certo periodo di tempo recuperava la propria libertà mentre questo non era previsto per gli schiavi neri. Dopo una serie di rivolte si arrivò ad usare solo schiavi neri. Così la razza e la condizione sociale arrivarono quasi a coincidere e ancora oggi negli Usa per certi verso questo resta un concetto controverso. Dopo l’Indipendenza, la legge americana garantiva la cittadinanza a tutti i cittadini bianchi liberi, cioè a tutti coloro che avevano origine anglosassone.Intorno agli anni ’40 del XIX, quando la popolazione americana divenne sempre più variegata, e pure sempre più colorata viste le immigrazioni in questo territorio da ogni parte del mondo, si dovette quindi stabilire chi fossero i “bianchi” attraverso una gerarchia di diverse razze al cui vertice si trovavano gli anglosassoni e i popoli nordici.
Il razzismo in Australia In Australia la popolazione aborigena è stata sterminata dalla colonizzazione che, attraverso numerosi omicidi, ha ridotto la popolazione aborigena di circa il 90% tra il XIX e il XX secolo. Sono numeri stratosferici!
Ci viene da riflettere dunque:basi scientifiche a giustificare il razzismo non ce ne sono, pretesti culturali invece sì. Ma questi signori che hanno praticato il razzismo e lo praticano ancora oggi lo sanno che un uomo ha la pelle nera se abita nelle zone geograficamente attraversate dall’equatore? Perché è caldo, i raggi del sole sono perpendicolari qui e rendono l’ambiente torrido e la pelle dell’uomo deve essere preparata, scusa e forte, per sopravvivere. Si tratta di pigmentazione della pelle in base al punto del globo in cui l’uomo vive. Quindi è semplice: l’uomo si adatta, come un qualsiasi altro essere vivente, al bioma in cui vive. I popoli di carnagione chiara allora abiteranno al Nord. Tipo gli Scandinavi. O anche i cinesi e giapponesi. Questi ultimi, oltre a essere chiari, abitando su altipiani, e quindi ad altezze elevate, hanno sviluppato gli occhi a mandorla per far sì che i raggi solari e il vento forte potessero dare eccessivo fastidio… Anche la forma del naso è una questione di adattamento: coloro che vivono in luoghi caldi e umidi tendono ad avere le narici più larghe rispetto a quelli che vivono in ambienti freddi. Le narici infatti regolano la temperatura e l’umidità dell’aria inalata. Insomma ci sono delle caratteristiche che sono legate all’ambiente e al clima. E poi ci sono gli incroci, le contaminazioni del mondo moderno: pelle di mille sfumature, uomini e donne bellissime che nascono dagli incontri di popoli e che ci fanno credere in un mondo migliore. Un mondo possibile.
Articolo di Davide Fantone ed Èlia Buzzelli, 3°B, Castel di Sangro.